Affabulazioni

Le due madri

20.02.2022

“Sono capitata per caso in questa storia, in una vicenda che non m’appartiene. Sono quella che si trova in fondo a tutta la folla di persone che stanno camminando in fretta, come se fossero richiamate non so da cosa, non so da chi.
Arranco dietro all’ultimo pastore, anzi, sono ancora più distanziata dal resto della gente. Seguo due asinelli che portano sulla soma le ceste con gli agnellini appena nati: è un’immagine di tenerezza che  dilaga nel mio cuore di giovane puerpera. Ho partorito da tre settimane e, come mi avevano avvisato le anziane della mia famiglia, attraverso una fase molto delicata: sento tutto come se fosse amplificato e sono le emozioni che guidano e condizionano i miei comportamenti.
Ieri sera una coppia si è fermata davanti a casa mia e l’uomo ha bussato alla porta, chiedendo ospitalità, perché non trovavano posto in nessun albergo. Mi sono sporta alla finestra: ero sola in casa e stavo allattando il mio bambino. Non sono uscita, anche perché la città è invasa da moltissime persone, in seguito al censimento, e mio marito mi ha intimato di essere prudente, anche quando non esco dalla nostra abitazione. Quando ho terminato di occuparmi di mio figlio, mi sono recata sulla soglia, per indirizzare i viandanti da mia madre, che ha una casa più grande di quella in cui abito, ma non c’era più nessuno. La vicina di casa mi ha detto che la giovane donna era vistosamente incinta e, secondo lei, già presentava tutte le avvisaglie del travaglio.

Adesso seguo queste persone, contravvenendo alle raccomandazioni di mio marito e non riesco a capire se sia trascinata soltanto da curiosità o da un sentimento che non riesco a definire. Spesso mi mancano le parole per esprimere le mie emozioni: mi hanno educata al silenzio, alla riservatezza, anche con me stessa.

Arrivo presso una grotta naturale, dove si accalcano già molte persone. Mi spingo un po’ avanti, per vedere cosa stia accadendo in quel luogo. Stupita, riconosco la coppia che ieri ha bussato alla mia porta. La fisionomia della donna mi è rimasta impressa, anche se l’ho intravista soltanto per pochi minuti; tiene in braccio un neonato. So che è maschio, perché lo stanno dicendo le persone che si trovano accanto a me. Il bambino, che piange sommessamente, è avvolto in un tappeto scuro, ripiegato, per aumentarne lo spessore. Non ne vedo il volto, ma mi colpisce una specie di luce, quasi insostenibile, che s’irradia da quel fagottino: ancora emozioni fortissime nel mio cuore, sempre indefinibili. C’è troppo mistero, eccessiva spiritualità che non comprendo, che non ho mai provato.
Mi concentro allora sul volto della madre. È spossata, pallida, gli occhi sono languidi e stanchi: hanno il colore prezioso e lattiginoso delle gemme estratte a fatica da una miniera buia e profonda. Però brillano, anche al buio, di lacrime trattenute e di gioia manifesta. Accarezza adagio il suo piccolo, in silenzio.

Medita tutto nel suo cuore” (citazione dal Vangelo di  Luca, 2,1-20).

Tra noi, entrambe madri da poco tempo, s’instaura misteriosamente una corrente d’affetto, d’intesa tenera e complice. Lei sente la mia presenza, anche in mezzo a tutta questa gente e mi guarda soltanto per pochi attimi, sorridendomi, quasi intimidita. Mi sento imbarazzata per non averla accolta in casa mia e per non aver intuito subito la delicatezza del suo stato, ma ormai è tardi. Lei scosta un po’ il tappeto che copre il bambino, per permettermi di osservare il viso del figlio e me lo mostra, avvicinandosi a me, come se mi porgesse un dono. Sento nel mio cuore, che ora è assolutamente sereno, che non sarà l’unico regalo che mi farà questa donna. Non so cosa succede, ma mi trovo inginocchiata, con le mani tese, alzate verso l’alto, come faccio quando devo pregare un Dio che ho sempre sentito lontano, inaccessibile. Adesso non è così: sto lodando un Mistero di carne, sto adorando un bambino identico a quello che dorme nella culla, a casa mia.
Mi riprendo da questo momento inspiegabile e non so se io sia turbata, oppure soltanto commossa. Mi guardo intorno per riallacciare il contatto con la mia concretezza, dimensione che mi ha sempre rassicurata. In un angolo, sopra un mucchio di paglia, ci sono dei teli sporchi di sangue: sono senza dubbio le fasce con cui è stato pulito il neonato, subito dopo il parto. Con premura, li raccolgo per portarli a casa, a lavare e li riconsegnerò presto alla giovane madre: quando nasce un bambino, questi pannicelli non sono mai abbastanza. Li piego e li ripongo sotto il mantello e, nella mia mente, risuona una frase di cui non capisco il significato: “Una piccola Sindone…  Una piccola Sindone…” Non comprendo il senso, ma mi commuovo, profondamente. Ah… il puerperio…
Saluto con un gesto della mano e la madre risponde, con un cenno del capo, ma non sorride più.
Sotto l’abito, avverto il turgore del mio seno, gonfio di latte: devo assolutamente tornare dal mio bambino. Cammino svelta verso casa. Il cielo del mattino è chiaro e, guardando le stelle che impallidiscono per lasciare posto al Sole, sono sicura di aver assistito a un evento che non so definire, ma non importa. Non sempre le parole sono necessarie.
Quello di cui sono certa, però, è di non essere capitata per caso in questa storia.”

Rita Vecchi

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Nell’immagine: Correggio, “Adorazione dei pastori”, 1525-1530 circa (dettaglio)

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