Pensieri

La vasca del Führer

24.02.2022
“Prinzregentenplatz 16, Monaco, 30 Aprile 1945
Le mattonelle del bagno sono lisce e ghiacciate. Tutto è pulito alla perfezione, come in una camera d’albergo pronta a ricevere l’ennesimo cliente. Gli asciugamani rigorosamente bianchi, disposti secondo misura negli appositi sostegni, aspettano un nuovo ospite da accudire. Sono gli stessi che hanno avvolto e protetto il corpo di quell’uomo mostruoso che Lee non riesce nemmeno a nominare. Solo il monogramma “A.H.” sull’argenteria svela l’identità del proprietario.
Mentre si addentra in quegli interni anonimi, insignificanti, una domanda continua a risuonarle in testa. Più che un interrogativo, un urlo soffocato: perché non c’è nessuna presenza del male che ha abitato quelle stanze? Una sobria dignità borghese trasuda da ogni dettaglio. Come è possibile che i mobili decorosi, le tende in damasco blu e i tavolini in legno scuro non raccontino nulla dell’essere diabolico che per tanto tempo ha vissuto indisturbato fra quelle mura? Lee attraversa un appartamento che avrebbe potuto accogliere il benessere discreto di un impiegato comunale, o di un prelato in pensione con l’inclinazione per l’arte classica e le sue mediocri imitazioni. Si può procurare un dolore atroce a milioni di persone e vivere tranquilli come “gente per bene”, accumulando suppellettili dozzinali e cuscini a piccolo punto?
Lee era riuscita a trattenere la nausea dinanzi all’orrore di Dachau. Ora, di fronte alla rispettabilità del male, sente che sta per sprofondare. Per l’intera giornata ha scattato foto con la sua Rolleiflex, senza perdere un tempo, senza lasciarsi sopraffare dall’emozione, consumando rullini su rullini, con una frenesia nervosa: è tra le poche dames fotografe a cui è stato concesso di entrare in un campo di concentramento tedesco, aveva lottato contro regolamenti e pregiudizi per stare lì e non poteva permettersi cedimenti. Doveva documentare ciò che nessuno avrebbe mai reputato autentico in assenza della testimonianza diretta delle immagini. Insieme ai rullini ha spedito a “Vogue” un telegramma con queste semplici parole: ”Credetemi, è tutto vero!”. Dubita che una rivista di moda abbia il coraggio di pubblicare su carta patinata l’incubo a cui lei ha assistito: montagne di corpi che erano scheletri già prima di morire, senza più nome né dignità, spinti a fatica dalle ruspe verso una fossa comune per scongiurare le epidemie. Ma le foto non sarebbero bastate comunque, non avrebbero reso se non alla lontana la scena che la 45a divisione di fanteria della Settima Armata dell’esercito statunitense si era trovata davanti. Gli scatti non avrebbero mai trasmesso l’odore dei cadaveri accumulati sui treni merci, un fetore fortissimo che aveva investito i soldati quando erano ben distanti dal campo. All’inizio erano convinti che fossero dei gas letali utilizzati dai tedeschi per bloccare gli alleati; certo non si figuravano che quel tanfo provenisse dalla carne putrefatta di centinaia di esseri umani privi di vita abbandonati a marcire sotto il sole.
La resistenza al dolore che ha esercitato a Dachau si è dissolta dentro la casa dove aveva vissuto il demonio. Lee ha perso forze e sensibilità. Nessuno ha il diritto di sopravvivere dopo l’inferno. Neanche lei.
Respira a fatica nel bagno immacolato, due lacrime pesanti come gocce di vetro si fermano sulle guance impietrite, proprio come nel ritratto che Man Ray le ha fatto tanti anni prima: un gesto surrealista che si è trasformato in realtà. Ed è un guizzo del passato a salvarla ancora una volta: sta per crollare, ma si abbandona all’indole vitale che l’ha sempre guidata nei momenti oscuri.
Un gesto infantile la spinge ad aprire i rubinetti. Dopo mesi di accampamenti e ricoveri di fortuna, è incantata dal tepore dell’acqua. La guerra si è incollata alla divisa che è ormai una seconda pelle, si spoglia riscoprendo un corpo vivo che non ricordava di possedere, si leva a fatica gli anfibi pieni di fango che contaminano l’innocente candore di quel luogo falso come un set cinematografico che non ha più ragione di esistere.
Lo spettacolo è finito, e Lee si immerge con la sua proverbiale indolenza nella vasca del Führer.”

Serena Dandini, da “La vasca del Führer”, 2020

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Foto di Elizabeth “Lee” Miller Penrose – Fonte: photophocus.com

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