Giorno dopo giorno si nega ai bambini il diritto di essere bambini. Il mondo tratta i bambini poveri come se fossero spazzatura. Il mondo tratta i bambini ricchi come se fossero denaro. E quelli di mezzo, i quali non sono né poveri né ricchi, il mondo li ha ben legati alla gamba del televisore perché fin da piccoli accettino come destino una vita prigioniera. I bambini che riescono a essere bambini hanno molta magia e molta fortuna.
Oggi vi racconto a mio modo e alla mia maniera, alcune storie di bambini che rendono loro omaggio.
Il viaggio
Oriol Valls, un medico che si occupa dei neonati in un ospedale di Barcellona, dice che il primo gesto umano è l’abbraccio. Al principio dei loro giorni i bebè, i neonati, muovono le braccia come… come cercando qualcuno. Ed altri medici, specialisti in quanti hanno già vissuto, dicono che al finire dei loro giorni i vecchi muoiono muovendo le braccia… come cercando qualcuno. E’ così, in questo modo che va la cosa. Per quante parole vogliamo usare e per quanti giri vogliamo dare al tema… in due battiti d’ala, trascorre il viaggio.
Finestra sul proibito
Il figlio di Pilar e Daniel Wainberg fu battezzato sul lungomare. E durante il battesimo gli mostrarono cosa è sacro:
Ricevette in dono una conchiglia… “Affinché impari ad amare l’acqua“.
Aprirono la gabbia di un uccello prigioniero… “Affinché impari ad amare l’aria“.
Gli diedero un fiore di geranio… “Affinché impari ad amare la terra“.
E gli diedero anche una bottiglietta chiusa… “Che non l’apra mai, mai! Affinché impari ad amare il mistero“.
Dormi bimbo mio
I più famosi racconti per l’infanzia, la letteratura per i bambini scritta per gli adulti, sono opere terroristiche che ben meritano di figurare nell’arsenale degli adulti contro quanti militano tra la gente minuta. Hansel e Gretel ti avvertono: “Sarai abbandonato dai tuoi genitori“. Cappuccetto Rosso ti informa che ogni sconosciuto può essere un lupo che ti mangerà. La Cenerentola ti impone di diffidare delle matrigne e delle sorellastre, e così via… i bambini continuano ad essere abituati fin da piccoli al terrore: “Verrà l’orco, e l’orco ti divorerà se non ubbidisci, se fai quello che non devi, se eserciti la tua Libertà“.
L’arte al servizio delle bambine
Il mio buon amico Onelio Jorge Cardoso, scrittore cubano, uomo salace, scrittore succoso, mi raccontò quello che gli accadde una volta che una madre gli chiese disperata… “aiuto“, perché la bimba, la figlia, piccina, si rifiutava di mangiare. Aveva i pugni chiusi, la bocca chiusa, il naso arricciato… e non mangiava e non c’era verso che mangiasse. Ed allora la madre gli disse: “Onelio, tu che sei scrittore, uno scrittore tanto simpatico, vediamo se riesci a fare in modo che la bambina mangi. Raccontagli qualcosa, Onelio, sii buono, sono qui da ore con questa cucchiaio e la zuppa si raffredda… e nulla“. E Onelio con tutta la sua saggezza e la sua pazienza si avvicinò alla bambina e gli narrò un racconto nello stile di quelli che gli adulti raccontano i bambini: “C’era una volta un’uccellina che non voleva mangiare il cibo. E la mammina gli diceva: apri il becco, uccellina, per mangiare il cibo, perché sennò rimani piccina e magrolina, invece di essere un’uccellina ben pasciuta… E allora uccellina, per favore, apri il becco per mangiare il tuo cibo. Ma l’uccellina continuava a serrare il becco, lo serrava e si negava…” E lì la bambina lo interruppe e disse: “Che uccellina di merdina.“
La cultura del terrore
L’estorsione, l’insulto, la minaccia, lo scappellotto, lo schiaffo, la bastonata, la frusta, la stanza buia, la doccia gelata, il digiuno obbligatorio, il cibo obbligatorio, la proibizione di uscire, il divieto di dire quello che si pensa, la proibizione di fare quello che si sente e l’umiliazione pubblica, sono alcuni dei metodi di penitenza e tortura tradizionali nella vita di famiglia. Per punizione della disubbidienza e monito della libertà, la tradizione familiare perpetua una cultura del terrore che umilia la donna, insegna ai figli a mentire e contagia la peste della paura.
In Cile, mi commenta, Andrés Rodriguez: “I diritti umani, dovrebbero incominciare a casa”.
Finestra sulla punizione
Era Natale, ed un signore svizzero aveva regalato un orologio svizzero a suo figlio svizzero. Il bambino smontò l’orologio sul letto e stava giocando con le lancette, la molla, il vetro, la corona… e tutti gli altri ingranaggi, quando il papà lo scoprì e gli propinò una tremenda bacchettata.
Fino ad allora Nicole Ruán e suo fratello erano stati nemici. Ma da quel Natale, il primo Natale che lei ricorda, i due furono per sempre amici. Magari fu perché ella seppe allora che anche lei sarebbe stata punita nel corso dei suoi anni…. perché invece di domandare l’ora agli orologi chiedeva loro come sono fatti dentro.
Il maestro
Gli alunni della Sesta Classe, in una Scuola di Montevideo, organizzarono un concorso di novelle. Diffusero a tutti la notizia. Tutti scrissero novelle in quel concorso dove io fui uno dei tre membri della giuria. Gli altri due erano: il maestro, il maestro Oscar, pugni logori, stipendio da fachiro… e un’alunna che era la delegata dei concorrenti. Alla cerimonia di premiazione si proibì l’ingresso a tutti gli adulti, ad eccezione del maestro, io che ero membro della giuria ed i bambini che erano i partecipanti al concorso. Tutti furono premiati. Ci fu un premio per ogni lavoro e col premio una piccola spiegazione dei meriti del lavoro presentato. Ed ogni premio fu celebrato con un’ovazione da tutti i bambini della classe… e ci fu pioggia di coriandoli e di stelle filanti… ed alla fine, rimasi a conversare coi piccini, ed il maestro mi disse, il maestro Oscar mi disse: “Andiamo d’accordo, tanto che mi fanno venir voglia di lasciarli tutti qui, ripetenti“.
Ed una bimba, venuta dall’interno, da un villaggio dell’interno, mi disse che lei quando arrivò, i primi tempi era molto silenziosa, non c’era maniera di tirarle fuori una parola dalla bocca, ed ora, mi disse, il problema è che non posso tacere, parlo tutto il tempo…. e io al maestro Oscar voglio mooolto bene, moooltissimo, perché lui mi ha insegnato a perdere la paura di sbagliarmi.
La funzione dell’arte
Diego non conosceva il mare. E suo padre, Santiago Kovadloff, lo portò a scoprirlo. Viaggiarono verso Sud, dove egli, il mare, nascosto dietro le alte dune, stava aspettandoli. E quando il padre e il figlio raggiunsero finalmente quelle dune di sabbia, il mare… esplose davanti ai loro occhi. E fu tanta la sua immensità e tanto il suo fulgore che il bambino rimase muto di meraviglia. E quando finalmente riuscì a parlare, balbettando, gli chiese, chiese al padre: “Aiutami a guardare“.
Uccelli proibiti
Per incredibile che possa sembrare, la principale prigione della dittatura militare uruguaiana, si chiamava Libertà. E per incredibile che possa sembrare, era proibito in quella prigione chiamata Libertà che i carcerati disegnassero o ricevessero disegni di farfalle, stelle, coppie ed uccelli.
Uno dei carcerati, Didaskó Pérez, maestro di scuola, carcerato per avere, come disse l’ufficiale che lo fermò, delle “idee ideologiche“, ricevette una domenica la visita di sua figlia Milay di cinque anni. La figlia gli portò un disegno di uccelli. Siccome gli uccelli erano proibiti, la censura lo strappò; i censori strapparono il disegno all’entrata della prigione.
La domenica seguente Milay portò un disegno di alberi, e siccome gli alberi non erano proibiti, il disegno, passò. Ed il padre gli domandò: “Questi frutti, questi frutti tanto colorati che si vedono… Che cosa sono?, Arance, limoni, mele?, Che cosa sono?” E la bambina lo fece tacere: “Shhh, stupido, Non vedi che sono occhi? Gli occhi degli uccelli che sono riuscita a portarti di nascosto“.
La nonna
La nonna Raquel era cieca quando morì. Ma qualche tempo dopo, nel sogno di Elena, la nonna vedeva. E nel sogno, la nonna non aveva un mucchio di anni, non era un pugno di stanche ossa. Era nuova. La nonna era nuova nel sogno della nipote. Aveva, la nonna, quattro anni. Ed era un’emigrante tra altri emigranti che stavano arrivando, dopo una lunga traversa per la mare, dalla remota Bessarabia. E nel sogno, la nonna chiedeva alla nipote che la sollevasse, perché voleva vedere il porto di Buenos Aires. E così, la nonna, in braccio alla nipote, conobbe il posto dove avrebbe trascorso tutti i giorni della sua vita.
Il mio colossale amico
All’inizio non lo amavo, perché credevo che mi avrebbe mangiato un piede. I mostri sono rapitori di donne, che si portano una su ogni spalla, e se sono mostri vecchi, si stancano e buttano una delle donne nella cunetta della strada. Ma questo mostro, il mio amico, non afferra donne né niente. Tutti ne hanno paura perché lui, poverino, non sa parlare, ma è buono. Il problema è che è tanto, ma tanto grande che i giganti gli arrivano alla caviglia. Viene e mi fa visita. Non vive in cielo, perché se vivesse in cielo come Dio, cadrebbe giù. È troppo grande per vivere nel cielo. Ci sono altri mostri, non tanto grandi che vivono su Plutone, o nell’infinito, o nel parainfinito, ma lui vive in Africa. E da lì viene e mi fa visita. Ora, qualche giorno di questi compare, Eh!? Viene, camminando attraverso il mare, viene, trasformato in un guerriero che più immenso non si può e buttando fuoco dalla bocca, e con un solo soffio fa crollare la prigione dove hanno carcerato mio papà e me lo porta sull’unghia del dito mignolo ed io lo metto nella mia stanza, facendolo passare per la finestra e gli dico: “Ciao” ed il mostro se ne torna pian pianino in Africa attraverso il mare ed allora mio papà esce a comprarmi caramelle e cioccolatini ed una bambolina. E si procura un cavallo vero e usciamo al galoppo per la terra. Mio papà ed io. Io afferrato alla coda del cavallo al galoppo, lontano. E dopo, quando mio papà sarà piccolino, io gli racconto la storia del mio colossale amico, affinché mio papà si addormenti quando arrivi la notte.
Grazie a tutti i bambini. Ho il privilegio di ricevere ogni giorno un sorriso come regalo, o un abbraccio, o qualche disegnino.
Essi hanno l’anima nuda nei loro occhi, l’ingenua allegria dei sogni, la curiosità temeraria nei loro passi, e un arsenale pieno d’amore nelle loro mani.
Felice giorno a quanti hanno la gran fortuna di esserlo ancora e per quelli di noi che siano cresciuti, impariamo un poco da loro.
Eduardo Galeano, da “Educando con l’esempio”, in “A testa in giù: la scuola del mondo alla rovescia”, 1999
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Foto di Arianna Arcangeli