“L’insonnia è una vertiginosa lucidità che riuscirebbe a trasformare il Paradiso stesso in luogo di tortura. Qualsiasi cosa è preferibile a questo allerta permanente, a questa criminale assenza di oblio. È durante quelle notti infernali che ho capito la futilità della filosofia. Le ore di veglia sono, in sostanza, un’interminabile ripulsa del pensiero attraverso il pensiero, è la coscienza esasperata da se stessa, una dichiarazione di guerra, un infernale ultimatum della mente a se medesima. Camminare vi impedisce di lambiccarvi con interrogativi senza risposta, mentre a letto si rimugina l’insolubile fino alla vertigine.” (Da Prefazione)
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“Avete mai provato la bestiale e stupefacente soddisfazione di guardarvi in uno specchio dopo innumerevoli notti bianche? Avete mai subìto la tortura dell’insonnia, quando si avverte ogni istante della notte, quando esistete solo voi al mondo, e il vostro dramma diventa il più importante della storia, di una storia ormai svuotata di senso, e che neppure più esiste, giacché sentite levarsi in voi le fiamme più spaventose, e la vostra esistenza vi appare come unica e sola in un mondo nato soltanto per portare a termine la vostra agonia – avete conosciuto questi innumerevoli momenti, infiniti come la sofferenza, per vedere poi riflessa, quando vi guardate, l’immagine del grottesco?” (Da Grottesco e disperazione)
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“Coloro che conoscono solo pochi stati d’animo, e che non arrivano mai al limite, non possono contraddirsi, perché le loro fiacche tendenze non saprebbero determinarsi in opposizioni. Quelli che, al contrario, provano in modo esasperato l’odio, la disperazione, il caos, il nulla o l’amore, che si consumano in ognuno di questi stati morendone a poco a poco, che non possono respirare se non al culmine, che sono sempre soli – tanto più se sono in mezzo agli altri –, come potrebbero seguire un’evoluzione lineare o cristallizzarsi in un sistema?
Una perfetta unità, la ricerca di un sistema coerente sono segno di una vita personale povera di risorse, schematica e insulsa, come lo sono anche le contraddizioni dovute all’estro del momento o al paradosso facile. Solo le grandi e insidiose contraddizioni, le insolubili antinomie testimoniano una vita spirituale feconda, perché soltanto in esse il flusso e l’abbondanza interni trovano modo di realizzarsi.
Non c’è vita spirituale feconda che non conosca gli stati caotici e l’effervescenza della malattia al suo parossismo, quando l’ispirazione appare come la condizione essenziale della creazione e le contraddizioni come manifestazioni della temperatura interiore. Chiunque non ami gli stati caotici non è un creatore, chiunque disprezzi gli stati morbosi non ha diritto di parlare dello spirito.” ( Da Contraddizioni e inconseguenze)
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“La scissione della vita corrisponde a una perdita totale dell’ingenuità, dono meraviglioso distrutto dalla conoscenza, nemica dichiarata della vita. Il vivere cosmico, la gioia per l’esistenza e per ciò che vi è di pittoresco nei suoi singoli aspetti, il rapimento davanti al fascino spontaneo dell’essere, l’esperienza incosciente delle contraddizioni, che perdono implicitamente il loro carattere tragico, sono espressioni dell’ingenuità, terreno fecondo per l’amore e l’entusiasmo. Non provare il dolore delle contraddizoni significa giungere alla gioia verginale dell’innocenza, essere impenetrabili alla tragedia e alla coscienza della morte, che presuppongono una complessità sconvolgente e una disgregazione paradossale.” (Da Scissione)
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“Se la melanconia è uno stato di trasognamento diffuso che non giunge mai a una grande profondità né a una intensa concentrazione, la tristezza presenta, al contrario, una serietà ripiegata su se stessa e un’interiorizzazione dolorosa. Si può essere tristi da qualsiasi parte; ma mentre gli spazi aperti acuiscono la melanconia, quelli chiusi fanno aumentare la tristezza. Nella tristezza la concentrazione deriva dal fatto che essa ha quasi sempre una ragione precisa, mentre per la melanconia la coscienza non saprebbe individuare nessuna causa esterna. So perché sono triste, ma non saprei dire perché sono melanconico. Prolungandosi nel tempo senza mai raggiungere un’intensità particolare, gli stati melanconici cancellano dalla coscienza ogni motivo iniziale, presente invece nella tristezza. (Da Sulla tristezza)
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“Ci sono due modi di sentire la solitudine: sentirsi soli al mondo o avvertire la solitudine del mondo. Chi si sente solo vive un dramma puramente individuale; il sentimento dell’abbandono può sopraggiungere anche in una splendida cornice naturale. In tal caso interessa unicamente la propria inquietudine. Sentirti proiettato e sospeso in questo mondo, incapace di adattarti ad esso, consumato in te stesso, distrutto dalle tue deficienze o esaltazioni, tormentato dalle tue insufficienze, indifferente agli aspetti esteriori – luminosi o cupi che siano –, rimanendo nel tuo dramma interiore: ecco ciò che significa la solitudine individuale. Il sentimento di solitudine cosmica deriva invece non tanto da un tormento puramente soggettivo, quanto piuttosto dalla sensazione di abbandono di questo mondo, dal sentimento di un nulla esteriore. Come se il mondo avesse perduto di colpo il suo splendore per raffigurare la monotonia essenziale di un cimitero. Sono in molti a sentirsi torturati dalla visione di un mondo derelitto, irrimediabilmente abbandonato ad una solitudine glaciale, che neppure i deboli riflessi di un chiarore crepuscolare riescono a raggiungere. Chi sono dunque i più infelici: coloro che sentono la solitudine in se stessi o coloro che la sentono all’esterno? Impossibile rispondere. E poi, perché dovrei darmi la pena di stabilire una gerarchia della solitudine? Essere solo non è già abbastanza?” (Da Solitudine individuale e solitudine cosmica)
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“La stanchezza persistente porta al culto del silenzio, perché quando si è esausti le parole perdono di significato e martellano nelle orecchie, ridotte a sonorità vuote, a vibrazioni esasperanti.
I concetti si stemperano, la forza dell’espressione si attenua, tutto ciò che si dice o si ascolta si svuota fino ad apparire sterile e ripugnante. Niente ha più forma e consistenza, e tutto ciò che va e viene dall’esterno rimane un murmure monocorde e lontano, incapace di accendere le sfumature della vita spirituale, di suscitare interesse o curiosità. Sembra allora inutile esprimere un parere, prendere posizione o impressionare qualcuno, e tutti i rumori cui si è rinunciato montano nell’inquietudine dell’anima, esistente in tutti i grandi silenzi. Dopo essersi forsennatamente prodigati per risolvere tutti i problemi, dopo essersi tormentati al massimo grado, quando occorrerebbe dare risposte definitive, si finisce col trovare nel silenzio la sola realtà e l’unica forma d’espressione.” (Da Solitudine individuale e solitudine cosmica)
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“Se non c’è salvezza attraverso la follia, è perché non c’è nessuno che non ne tema gli sprazzi di lucidità. Si desidererebbe il caos, ma si ha paura delle sue luci. (…) Vorrei perdere la ragione a un unico patto: essere sicuro di diventare un pazzo allegro, brioso ed eternamente di buon umore, senza problemi né ossessioni, che ride senza motivo dalla mattina alla sera. (Da Il presentimento della follia)
Emil Cioran, da “Al culmine della disperazione”, 1934