I bambini deportati nel campo di concentramento di Theresienstadt, in Cecoslovacchia, erano155.000: 35.440 vi trovarono la morte e 88.000 furono deportati per essere eliminati.
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“Sono stato bambino tre anni fa.
Allora sognavo altri mondi. ”
Hanus Hachenburg
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Disegno di Helga
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“Prova, amico, ad aprire il tuo cuore alla bellezza
quando cammini tra la natura
per intrecciare ghirlande coi tuoi ricordi:
anche se le lacrime ti cadono lungo la strada,
vedrai che è bello vivere.”
Anonimo
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“Vorrei andare sola
Vorrei andare sola dove c’è un’altra gente migliore,
in qualche posto sconosciuto
dove nessuno più uccide.
Ma forse ci andremo in tanti
verso questo sogno,
in mille forse …
e perché non subito?”
Alena Synková (1926, sopravvissuta)
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Disegno di Doris Weiserovà
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“È piccolo il giardino
profumato di rose,
è stretto il sentiero
dove corre il bambino:
un bambino grazioso
come un bocciolo che si apre:
quando il bocciolo si aprirà
il bambino non ci sarà.”
Franta Bass (1930 – 1944)
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“Di nuovo l’orrore ha colpito il ghetto,
un male crudele che ne scaccia ogni altro.
La morte, demone folle, brandisce una gelida falce
che decapita intorno le sue vittime.
I cuori dei padri battono oggi di paura
e le madri nascondono il viso nel grembo.
La vipera del tifo strangola i bambini
e preleva le sue decime dal branco.
Oggi il mio sangue pulsa ancora,
ma i miei compagni mi muoiono accanto.
Piuttosto di vederli morire
vorrei io stesso trovare la morte.
Ma no, mio Dio, noi vogliamo vivere!
Non vogliamo vuoti nelle nostre file.
Il mondo è nostro e noi lo vogliamo migliore.
Vogliamo fare qualcosa. E’ vietato morire!”
Eva Picková, 12 anni, (morta il 18-12-1943)
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“La farfalla
L’ultima, proprio l’ultima,
di un giallo così intenso, così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade
sopra una roccia bianca
così gialla, così gialla!
l’ultima,
volava in alto leggera,
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo mondo.
Tra qualche giorno
sarà già la mia settima settimana
di ghetto:
i miei mi hanno ritrovato qui
e qui mi chiamano i fiori di ruta
e il bianco candeliere di castagno
nel cortile.
Ma qui non ho rivisto nessuna farfalla.
Quella dell’altra volta fu l’ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto.”
Pavel Friedman (1921 – 1944)
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Disegno di Pavel Sonneschein
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“Si stinge a ovest il bagliore del giorno,
nell’infermeria scivola la luce del crepuscolo,
lieve sfiora i letti dei piccoli malati e posa su guance che la febbre arrossa.
È l’ora blu delle fiabe
e nell’aria è tutto un bisbiglio e un sussurro.
«Oggi in sogno» dice un bimbo, il capo fasciato,
«ero nel paese della cuccagna.
Me ne stavo seduto sotto un albero
e potevo mangiare e mangiare all’infinito».
«Che cosa hai mangiato»? vuole sapere una bambina,
occhi grandi su un cuscino colorato,
«allora: dolci, salsicce e di tutto, beh, tutto quel che si mangia nel paese della cuccagna».
«Ah, dolci! » borbotta quello con l’ittero,
già da giorni a digiuno. «Quanto vorrei del puré di patate».
«E io», una vocina squillante, «vorrei un uovo».
Un’eco a più voci risuona per la stanza:
«Un uovo, tutti noi ne vorremmo uno!
È da dieci mesi che non ne mangiamo nessuno
e non ce ne ricordiamo più il sapore».
Rauca si leva una voce:
«A casa avevamo un melo, se solo potessi averne un frutto».
Da un angolo della stanza, dal letto
del piccolo Heinz malato di tubercolosi,
bianche le guance e trasparenti come la neve, arriva la sua voce:
«Se solo potessi avere ciò che a casa lasciavo nel piatto.
Non mi piaceva la minestra, la carne e neppure il puré,
ogni pasto era un urlo.
Ora mamma è malata e papà è morto
e io vorrei tanto del pane raffermo».
«Una volta mio zio», si vanta la piccola Eva e ride,
«mi ha portato un maialino di marzapane».
Il piccolo Peter trasognato guarda lontano:
«Quanto mi piaceva la cioccolata!».
«Macché cioccolata e marzapane!», lo riprende risoluto il vicino stizzito
«Ah, poter mangiare una volta lenticchie,
piselli gialli e fagioli in giuste, grandi porzioni»!
«Sì», interrompe la piccola Ilse con fervore,
«e poi ancora tanta verdura, spinaci e cavoli,
rape e carote me li mangerei volentieri anche crudi…».
Ascolto inosservata i loro discorsi e mi fa male il cuore,
c’è del caffè nero per cenare.
Giro l’interruttore, chiare risplendono le luci
a illuminare scarni visi di bimbi,
segnati dalla fame e dagli stenti,
dalla dura matita della mancanza di alimenti.
A voi, vittime innocenti di una violenza cieca,
giunga presto difesa
e vi liberi da questa palude di putrefazione
per portarvi salvezza e guarigione.
Ah, possiate essere di nuovo bambini,
con il diritto all’amore e alla luce del sole,
alla felicità serena d’una infanzia piena,
alle guance tonde e allo sguardo di bagliore.
E che possiate mangiare di nuovo a sazietà,
voi, poveri bambini di Theresienstadt.”
Ilse Weber, “L’ora blu delle fiabe”
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Immagine in evidenza: Disegno di Margit Koretzovà