Pensieri

L’uomo in cerca di un senso

17.04.2022

“Chi avesse visto i nostri volti trasfigurati dall’incanto, durante il viaggio in treno da Auschwitz a un Lager bavarese, quando scorgemmo, dalle sbarre di un vagone cellulare, i monti di Salisburgo, con le cime rilucenti nel tramonto, non avrebbe mai creduto che erano volti di uomini che consideravano praticamente conclusa la propria vita. Nonostante tutto – o forse proprio a causa della nostra situazione – la bellezza della natura, che ci fu negata per anni, ci entusiasmava. (…)

E più tardi, nel Lager, durante il lavoro, qualcuno richiamava l’attenzione del compagno che gli sbuffava accanto, su un quadro meraviglioso che si offriva ai suoi occhi; come avveniva, per esempio, nella foresta bavarese (dove ci toccava costruire enormi fabbriche sotterranee e mimetizzate, per la produzione bellica), quando il sole al tramonto irradiava di luce i tronchi degli alberi, proprio come in un famoso acquarello di Dürer.

E accadde una volta che, di sera, mentre stanchi morti dopo il lavoro ci eravamo già sdraiati per terra, nelle baracche, con la ciotola della minestra in mano, un compagno entrò a precipizio, invitandoci a uscire sullo spiazzo dell’appello, nonostante la stanchezza e il freddo di fuori, perché non dovevamo perdere lo spettacolo di un certo tramonto. E quando, usciti fuori, vedemmo le scure nubi rosseggianti, a occidente, e tutto l’orizzonte animato da nubi multicolore sempre mutevoli, con le loro figure fantastiche ed i loro colori ultraterreni, dall’azzurro cobalto al rosso sangue, e sotto, in contrasto, le tristi capanne di terra del Lager e il paludoso spiazzo dell’appello, nelle pozzanghere del quale si specchiava la bragia del cielo, allora, dopo alcuni minuti di silenzio rapito, qualcuno disse: “Come potrebbe essere bello il mondo!”. (…)

Oppure: ti trovi nel fosso a lavorare; intorno, un’alba grigia; sopra, un cielo grigio; e grigia è la neve nella luce pallida dell’alba, grigi sono i cenci che coprono i compagni, grigi i loro volti. Ricominci il tuo dialogo con l’essere amato o, per la millesima volta, ricominci a rivolgere al cielo lamenti e domande. Per la millesima volta lotti per una risposta, lotti per il senso del tuo dolore, del tuo sacrificio – per il senso del tuo lento morire. In un’ultima impennata contro lo sconforto di una morte che ti è davanti, senti che il tuo spirito squarcia il grigio intorno a te, e in quest’ultimo slancio senti come lo spirito evade da tutto questo mondo desolato e assurdo e che alle tue ultime domande sul significato del dolore, risuona da qualche parte un “sì” vittorioso e pieno di gioia, e in quest’attimo risplende una luce nella lontana finestra d’una fattoria che sta all’orizzonte come un fondale, nel grigio disperato di un albeggiante mattino bavarese – “et lux in tenebris lucet“, e la luce risplende nell’oscurità. (…)

Ed ancora, dopo aver zappato per ore e ore il terreno gelato, è passata la sentinella per deriderti un poco, e tu ricominci il tuo dialogo con l’essere amato. Avverti sempre di più che è qui, lo senti: lei è qui. Credi di poterla raggiungere; credi che basti allungare la mano per afferrare la sua mano. Fortissima, ti pervade la sensazione: “Lei è qui”! Ebbene, proprio in quest’attimo – che succede? Senza rumore, un uccello svolazza verso di te, si posa proprio davanti a te, sulle zolle di terra che hai spalato dal fosso, e ti guarda senza volgere il capo. Immobile…”

Viktor Frankl, da “L’uomo in cerca di un senso. Uno psicologo nei lager”, 1946

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