Conosci te stesso
Quando è sera guardo le luci accese nelle case degli altri. Di fronte c’è una camera di ragazzini, due fratelli che litigano e si picchiano nel quadro della finestra; qualche volta invece fanno i compiti alle loro scrivanie, ma dura sempre poco, perché poi ricominciano ad azzuffarsi. Alla destra della loro stanza, la finestra successiva è un salotto; grandi librerie alle pareti, illuminazione da terra, molti quadri, un ficus benjamin che avrebbe bisogno di essere annaffiato: ogni sera conto qualche foglia in meno, ormai è rimasto quasi nudo. Sopra il salotto c’è una cucina, è la casa di una coppia di vecchietti; la luce troppo chiara e fredda si riflette su mobili spartani, di radica, che hanno l’aria di aver vissuto in quella cucina già più di qualche annetto. Cenano alle diciannove e trenta, ogni santo giorno, e lui dà le spalle alla finestra; lei lo serve e quando finiscono, intorno alle diciannove e cinquanta, è lui che fa i piatti. Lei rimane seduta al tavolo e chissà cosa si raccontano. Per la prima volta mi sorprendo a pensare che, dalla casa di fronte, anche loro – i fratelli, la loro mamma che accende la lampada da terra nel sa-lotto, i vecchietti – possono vedere le mie finestre illuminate; ma sarà l’ultima sera che vedranno questa casa com’è ora, com’è sempre stata da quando è mia.
Domani i libri nella libreria saranno già spariti, ingoiati dai cartoni che nell’ingresso aspettano solo di essere riempiti. In questa casa molto amata, dove conosco il posto di ogni cosa perché l’ho pensato e l’ho trovato io, all’improvviso mi sento come in un teatro, sola – l’altro attore se n’è andato; l’ultimissima replica di uno spettacolo andato in scena per dieci anni, e nessuno spettatore. Ho poco più di una settimana per lasciare la casa. L’ho letto da qualche parte, chissà dove (ho persino creduto, allora, che fosse un’esagerazione): i traslochi sarebbero, insieme a lutti e divorzi, i momenti più traumatici nella vita di una persona. Eventi psicosociali stressanti, li chiamavano in quell’articolo; possono causare stress, ansia, depressione. Avevo sorriso e mi ero detta, posando la rivista sul tavolino: quante storie! Che sarà mai, un trasloco, pensavo soddisfatta come un gatto accoccolato su una stufa.
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“Ma non sono più così sicura che pensare di dover sfruttare ogni istante abbia davvero senso. Perché – ci faccio caso solo adesso, e chissà se ci avrei mai pensato, senza la sottile violenza logica che sulla mia concezione del tempo, finora così ostinatamente conformista, ha esercitato Zenone di Elea – proprio il fatto di credere che debba essere tutto utile, che ogni esperienza debba per forza servirci, farci crescere e maturare come frutti nella tarda primavera, rende avari di tempo.
Il tempo che credo di aver perso amando la persona sbagliata, chi me lo ridarà indietro? Questo mi addolora – mi addolorava, almeno, fino a quando non ho incontrato Zenone. Che meschinità verso di me, verso la vita, verso il tempo, convincermi di averne perso tanto solo perché sono rimasta delusa, solo perché l’investimento non è andato a buon fine. Che orrore, ostinarsi a vedere una storia che finisce come una bancarotta – che stupido pensare che il tempo e l’amore e la vita siano solo un richiamo all’efficienza.”
Ilaria Gaspari, da “Lezioni di felicità. Esercizi filosofici per il buon uso della vita”. 2019
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Foto di Sonia Simbolo