Dopo 23 anni di prigione, il poeta Marcos Ana passa la notte con una prostituta. Il giorno successivo lei gli ridà indietro i soldi, accompagnandoli con queste parole: “Vorrei che tornassi, oggi”.
Lui spende quei soldi in un mazzo di fiori e in un biglietto scrive: “A Isabel, mi primer amor”.
Quel giorno compiva 42 anni, e aveva appena conosciuto il corpo di una donna.
Marcos Ana era un poeta spagnolo. A 19 anni era stato imprigionato dal franchismo. Oltre ad essere un poeta, era anche iscritto al Partito Comunista.
Nel 1941 fu condannato a morte, ma la sentenza viene annullata per un difetto di forma. Quella condanna tornerà a pendere sulla sua testa diverse volte in quegli anni senza fine.
In carcere, dopo il confinamento e la tortura, comincia lentamente a ottenere qualche beneficio. La guerra è ormai lontana ma quell’oscuro poeta continua a rappresentare un pericolo per un regime fondato sul terrore e la sopraffazione. In quei libri, scappati alle maglie della censura, arrivano a fargli visita Rafael Alberti, Miguel Hernandez, Federico Garcia Lorca, Pablo Neruda…
Aveva 42 anni, Marcos Ana, quando riuscì a vedere il cielo, tutto intero, come quel corpo, come le tante prime volte, nel primo giorno del mondo.
Dal carcere, imprigionato solo per il delitto di pensare diversamente in una società malata, aveva chiesto, diverse volte, di descrivergli com’era il mondo.
Ditemi com’è fatto un albero.
Raccontatemi il canto di un fiume
quando si copre di uccelli
parlatemi del mare, parlatemi
del vasto odore dei campi,
delle stelle, dell’aria,
recitatemi un orizzonte
senza chiavi né serratura
come il casotto di un povero,
ditemi com’è il bacio
di una donna, datemi il nome
dell’amore: non lo ricordo.
Le notti si profumano ancora
di innamorati che tremano
di passione sotto la luna?
O resta solo questa buca,
la luce di una serratura
e la canzone della mia rosa?
Ventidue anni, ho già dimenticato
la dimensione delle cose,
il loro colore, il loro profumo, scrivo
appena il mare, la campagna, dico bosco
e ho perso la geometria dell’albero.
Parlo, per parlare, di fatti
che gli anni mi hanno cancellato.
(non posso continuare, sento
i passi della guardia)”
Milton Fernàndez