– Guarda la Luna e segna il tuo passo. Abher trhiska varua garua arghura mager sirhen. Questa è la notte delle streghe, figlie d’Albedo. Guarda la Luna e segna il tuo passo.
Girano attorno alla madre Luna, le figlie capricciose con gli occhi color della notte. Girano e cantano la loro nenia prendendosi gioco dell’umana specie.
– Abher trhiska varua garua arghura mager sirhen. – Cantano girando attorno al vecchio tronco.
– Guarda la Luna e segna il tuo passo. Questa è la notte delle streghe. Femmina, non innamorarti mai in una notte di streghe ché patirai di tormenti e pene. – Ride la strega battendo il tempo.
Alza il cerchio d’ulivo, l’altra, roteandolo nell’aria ferma: – Guarda la Luna e segna il tuo passo. Questa è la notte delle streghe. Femmina, seduci e prendi il suo cuore, sarai per sempre padrona della sua anima. Abher trhiska varua garua arghura mager sirhen.
– Abher trhiska varua garua arghura mager sirhen. – Cantano in coro tutte le streghe, ridono, girano, ruotano la gonna. Danzano scalze muovendo leggere, i piedi bianchi.
– Prendi il cuore e non amare, questa è la notte delle streghe, ché patirai di tormenti e pene.
C’era una volta, una fanciulla prigioniera d’amore, un amore nero e infinito come la notte. Sbocciò quell’amore, nella notte delle streghe, una notte di luna senza cielo, una notte di scintille capricciose. Sbocciò e lei lo trattenne, quell’amore impossibile. Rimase sul precipizio, stanca, con le mani ferite a trattenere l’amore.
La Luna guardava la figlia ribelle, la fronte sudata, il tremore alle gambe, i denti stretti e le piaghe al cuore, eppure resisteva alla paura.
La fanciulla chiuse gli occhi e cercò la speranza in un respiro, trovò la forza e sfidò la notte facendo un altro giro di corda attorno alle mani.
In fondo alla corda, laggiù lontano, pendeva un cuore d’uomo.
La strega rideva: – Lascialo andare o trascinerà anche te.
E l’altra cantava: – Femmina, non innamorarti mai in una notte di streghe ché patirai di tormenti e pene.
Con i piedi ben puntati per terra e il corpo teso per lo sforzo, la fanciulla tratteneva il suo amore.
Ridevano le streghe dispettose: – Abher trhiska varua garua arghura mager sirhen.
La Luna guardava la fanciulla ribelle, caparbia, forte, coraggiosa e cieca, non vedeva che il cuore d’uomo s’era tramutato in pietra, e la tenacia offuscava la comprensione, perché l’amore, mai può essere un peso. A volte, l’amore è dolore, ma mai è di spalle. A volte, l’amore è sfida, ma guarda sempre in viso. A volte, l’amore è silenzio, ma mai è assenza. A volte, l’amore fa male, ma poi è lenimento.
Danzavano tutt’attorno, le scintille dispettose, cantando, giocando con le ombre, con i sogni, con gli amori sottili, con quelli minuscoli, con quelli opachi e impolverati, con quelli miseri e taccagni, con quelli mesti e grigi, con quelli ragionati e ragionevoli.
La Luna amò tutte le sue figlie e rischiarò il cielo. Le streghe, stanche di danzare e di cantare, s’acquietarono attorno al vecchio tronco e s’addormentarono.
La Notte aspettava la fine della storia.
La fanciulla teneva e tratteneva il suo amore che pendeva in fondo alla corda. Stanca, resisteva. Passata la notte, avrebbe tirato su il suo amore e lo avrebbe salvato. “Domani, domani avrò il suo amore”, pensava facendo un altro giro di corda attorno alle mani, e la corda stringeva le sue mani ferite. Presto sarebbe arrivato il nuovo giorno e lei avrebbe avuto il suo amore salvo.
La Notte cominciò ad andare sgomenta, forse non era riuscita a capire il finale.
La Luna guardò la fanciulla e in silenzio, le fece compagnia.
Maria Carmela Miccichè – mc-micciche.com
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Immagine: Paul Sérusier, “L’incantesimo”, 1891-92