Eratijarijaka:
un’arcaica espressione poetica che nella lingua degli Aranda significa
«anelando con tutto il cuore a qualcosa che è andato perduto».
Elias Canetti, da “La tortura delle mosche”, 1992
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Esser morta vorrei veramente
“Esser morta vorrei veramente.
Mi lasciava piangendo,
e tra molte cose mi disse:
“Ahimè, è terribile ciò che proviamo,
o Saffo: ti lascio, non per mio volere”.
E a lei io rispondevo:
“Va’ pure contenta, e di me
serba il ricordo: tu sai quanto t’amavo.
Se non lo sai, ti voglio
ricordare…
cose belle noi godevamo.
Molte corone di viole,
di rose e di crochi insieme
cingevi al capo, accanto a me,
e intorno al collo morbido
Saffo
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L’incidente è chiuso
“È già l’una passata.
A quest’ora tu sarai a letto.
Come un fiume d’argento
traversa la notte
la Via Lattea.
Io non ho fretta
e non ti voglio svegliare
con speciali messaggi.
Come si dice,
l’incidente è chiuso.
Il battello dell’amore
s’è infranto contro la vita circostante.
Tu ed io
siamo pari.
Non vale la pena di citare
le offese
i dolori
e i torti reciproci.
Guarda com’è pacifico il mondo.
La notte
ha imposto al cielo
un tributo stellato.
È in ore come questa
che si sorge
e si parla ai secoli,
alla storia,
alla creazione.”
Vladimir Majakovskij, “L’incidente è chiuso”
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Edvard Munch, “Two Human Beings” (“The Lonely Ones “), 1905
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Charles Bukowski
Giovanni Sepe
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Storia d’un amore
Cristina Peri Rossi, “Storia d’un amore”
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Foto di Amy Judd
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Non ricordo perché ti amo
“E poi, lentamente,
molto lentamente,
dimentichi le persone
quelle che sembravano indelebili,
sbiadiscono a poco a poco
Dimentichi
Li dimentichi tutti quanti
Persino quelli che dicevi di amare
e quelli che amavi veramente
Sono gli ultimi a scomparire
E una volta che hai scordato abbastanza,
puoi amare qualcun altro.”
Gabrielle Zevin, “Non ricordo perché ti amo”
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Divorzio
“Per i bambini è la prima fine del mondo.
Per il gattino un nuovo padrone.
Per la cagnolina una nuova padrona.
E per i mobili: scale, fracasso, prendere o lasciare.
Per i vicini chiacchiere e noia interrotta.
Per l’auto: meglio se fossero state due.
Per i romanzi e le poesie: ok, vedi tu.
Va peggio con l’enciclopedia e gli apparecchi video
e poi forse con quella guida alla scrittura corretta,
dove forse ci sono consigli in merito si due nomi – ,
se ancora unirli con la congiunzione “e”
o se ormai separarli con un punto.”
Wislawa Szymborska, “Divorzio”
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Roy Lichtenstein, “Sweet Dreams, Baby!”, 1965
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Commiato: vietato piangere
“Come uomini virtuosi trapassano miti
e sussurrano alle loro anime di andare,
mentre fra i loro tristi amici c’è chi dice,
ora se ne va il respiro, e chi dice, no:
così sciogliamoci, senza far rumore,
non diluvi di lacrime, non tempeste muoviamo di sospiri;
sarebbe profanazione delle nostre gioie
rivelare ai laici il nostro amore.
Il sommovimento della terra reca danni e paure,
gli uomini calcolano cosa ha fatto e significato;
ma la trepidazione delle sfere,
pur di gran lunga maggiore, è innocente.
L’amore dei rozzi amanti sublunari
(la cui anima sono i sensi) non ammette
l’assenza, poiché essa sottrae
quelle cose che ne eran gli elementi.
Ma noi, per un amore così affinato
da non saper noi stessi cosa sia,
in reciproca certezza delle anime
meno ci curiamo che occhi, labbra, mani manchino.
Le nostre due anime, perciò, che sono una,
benché io debba andare, non subiscono
una frattura, ma un’espansione,
come oro battuto ad aerea sottigliezza.
Se esse sono due, sono due come
le rigide gambe gemelle del compasso sono due:
la tua anima, il piede fisso, non mostra
di muoversi, ma lo fa, se l’altra lo fa;
e anche se nel centro siede,
quando l’altra va lontano errando,
si piega e a quella tende orecchio,
e torna eretta, quando l’altra rincasa.
Tale sarai tu per me, che devo,
come l’altro piede, correre inclinato:
la tua fermezza fa il mio cerchio esatto
e mi fa finire dove avevo cominciato.”
John Donne, “Commiato: vietato piangere”
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Edvard Munch,”Separation“, 1896
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Camminami ancora accanto
“Camminami ancora accanto
e spiegami perché il dolore
si assiepa all’improvviso
in un punto esatto del cuore
quando l’assenza tua non si colma,
quando il ricordo
si frantuma in mille granelli di niente
che lasciano vuote le mani.
Spiegami cos’è l’inverno,
quando un freddo inconsolabile
imbavaglia le parole,
quando nessun caminetto acceso
riesce a scaldare le stanze dell’anima.
Camminami ancora accanto
e spiegami le meraviglie del vivere
e quanto coraggio ci vuole
per capire il senso compiuto
di un peregrinare fra mille insidie;
fra un sorriso e cento dolori.
Camminami ancora accanto
e lascia che io abiti in sogno
ancora una volta
i tuoi occhi: uno dei luoghi
più belli che la memoria conserva
ed io fermerò le giravolte della memoria
e le lacrime che rigano il senso
di mille perché senza risposta alcuna.”
Anna Laura Cittadino
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Ci mancava un presente
“Andiamocene come siamo:
una signora libera
e un amico fedele.
Andiamocene su due strade diverse,
andiamocene come siamo, uniti
e separati.
Nulla ci fa male,
non il divorzio delle colombe,
né il freddo alle mani
o il vento intorno alla chiesa.
I mandorli non sono abbastanza in fiore,
sorridi e fioriranno di più
tra le farfalle delle tue fossette.
Presto avremo un altro presente.
Se ti volti, dietro di te
non vedrai che esilio:
la tua camera da letto,
il salice della piazza,
il fiume dietro gli edifici di vetro,
il caffè dei nostri appuntamenti… tutti, tutti
pronti a mutarsi in esilio.
E allora siamo buoni!
Andiamocene come siamo:
una donna libera
e un amico fedele ai suoi flauti.
Non bastava la nostra età per invecchiare insieme,
andare al cinema con passo stanco,
vedere l’epilogo della guerra tra Atene e le sue vicine
e assistere alle celebrazioni di pace tra Roma e Cartagine.
Presto gli uccelli lasceranno un tempo per un altro.
Che sia stato vano questo cammino
ammantato di senso? Ci ha condotti
in un viaggio effimero tra due miti?
Come se fosse necessario, come se fossimo necessari:
uno straniero che vede se stesso negli specchi della sua straniera.
«No, non è questa la strada verso il mio corpo».
«Nessuna soluzione culturale ai crucci esistenziali».
«Ovunque tu sia, il mio cielo e vero».
«Chi sono io per restituirti il sole e la luna precedenti?».
E allora siamo buoni…
Andiamocene come siamo:
un’amante libera
e il suo poeta.
La neve di dicembre non è caduta abbastanza,
sorridi e cadrà a fiocchi sulle preghiere del cristiano.
Presto torneremo al nostro domani dietro di noi,
quando eravamo due bambini all’inizio dell’amore
e giocavamo a Romeo e Giulietta
per imparare il lessico di Shakespeare…
Le farfalle si sono involate dal sonno
come il miraggio di una rapida pace,
che ci incorona con due stelle
e ci condanna a morte nel conflitto per il nome
tra due finestre.
E allora andiamocene,
siamo buoni.
Andiamocene come siamo:
una donna libera
e un amico fedele,
andiamocene come siamo.
Venuti con il vento da Babilonia,
a Babilonia torniamo…
Non bastava il viaggio
affinché, sulle mie tracce, i pini si tramutassero
in parole d’elogio del luogo meridionale.
Qui, siamo buoni. Del nord il nostro vento
e del sud le canzoni,
Sono un’altra te?
E tu, un altro me?
Non è questa la strada verso la terra della mia libertà,
la strada verso il mio corpo,
e io non sarò io per due volte
ora che il mio passato ha sostituito il mio futuro
e mi sono scissa in due donne.
Non sono orientale
né occidentale
e non sono un ulivo che ha ombreggiato due versetti.
E allora andiamocene.
«Nessuna soluzione collettiva alle ossessioni personali».
Non bastava essere insieme
per essere insieme…
Ci mancava un presente per vedere
dove eravamo. Andiamocene come siamo,
una donna libera
e un vecchio amico.
Andiamocene insieme su due strade diverse.
Andiamocene insieme
e siamo buoni…”
Mahmoud Darwish, da “Il Letto della straniera“
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Al mio amante che torna da sua moglie
“Lei è tutta là.
Per te con maestria fu fusa e fu colata,
per te forgiata fin dalla tua infanzia,
con le tue cento biglie predilette fu costrutta.
Lei è sempre stata là, mio caro.
Infatti è deliziosa.
Fuochi d’artificio in un febbraio uggioso
e concreta come pentola di ghisa.
Diciamocelo, sono stata di passaggio.
Un lusso.
Una scialuppa rosso fuoco nella cala.
Mi svolazzano i capelli dal finestrino.
Son fumo, cozze fuori stagione.
Lei è molto di più.
Lei ti è dovuta,
t’incrementa le crescite usuali e tropicali.
Questo non è un esperimento.
Lei è tutta armonia.
S’occupa lei dei remi e degli scalmi del canotto,
ha messo fiorellini sul davanzale a colazione,
s’è seduta a tornire stoviglie a mezzogiorno,
ha esposto tre bambini al plenilunio,
tre puttini disegnati da Michelangelo,
l’ha fatto a gambe spalancate
nei mesi faticosi alla cappella.
Se dai un’occhiata, i bambini sono lassù
sospesi alla volta come delicati palloncini.
Lei li ha anche portati a nanna dopo cena,
e loro tutt’e tre a testa bassa,
piccati sulle gambette, lamentosi e riluttanti,
e la sua faccia avvampa neniando il loro
poco sonno.
Ti restituisco il cuore.
Ti do libero accesso:
al fusibile che in lei rabbiosamente pulsa,
alla cagna che in lei tramesta nella sozzura,
e alla sua ferita sepolta
alla sepoltura viva della sua piccola ferita rossa
al pallido bagliore tremolante sotto le costole,
al marinaio sbronzo in aspettativa nel polso
sinistro,
alle sue ginocchia materne, alle calze,
alla giarrettiera per il richiamo
lo strano richiamo
quando annaspi tra braccia e poppe
e dai uno strattone al suo nastro arancione
rispondendo al richiamo, lo strano richiamo.
Lei è così nuda, è unica.
È la somma di te e dei tuoi sogni.
Montala come un monumento, gradino per gradino.
lei è solida.
Quanto a me, io sono un acquerello.
Mi dissolvo.”
Anne Sexton, “Al mio amante che torna da sua moglie”
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Edward Hopper, “Room in New York”, 1932
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La separazione
“Somiglia la separazione a una fiaba
spaventosa: comincia di notte,
non ha fine.
Un tempo, in una notte di luglio
pestavano gli zoccoli i cavalli,
strillavano insonni i bambini,
si affannava all’alba il gallo.
Un tempo: gli incendi a mezzocielo,
e la strada che si snoda oltre la polvere,
e tu che parti. Somiglia
la separazione a una fiaba
spaventosa: quando vanno oltremare
non ha fine.
Somiglia la separazione allo stridio
dei treni notturni a mezzanotte. Spariscono
per sempre nelle voragini delle prigioni,
nelle celle frigorifere di Buchenwald,
nel fuoco tifoideo di Ravensbruck.
Ricordo come ti staccavi
dal caro mondo,
ricordo che sorridevi,
che segnavi con la croce
me, il cielo verde
e la città e i passanti…
La separazione somiglia
al frastuono delle ruote sul cuore.
La separazione somiglia a una lunga
canzone che qualcuno canta a qualcuno:
racconta il lungo assedio della capitale,
racconta che l’accerchiarono,
che cannoneggiarono
monumenti e palazzi,
lo scheletro, la superficie gelata.
E là, sulla riva
dell’azzurro mare,
viveva un vecchio con la sua vecchia…
(mia madre mi asciugava gli occhi
col fazzoletto di pizzo).
La separazione somiglia a una lunga
canzone nella quale non si incontra nessuno.”
Nina Nikolaevna Berberova, “La separazione”
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René Magritte, “Les amants”, 1928
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Non importa quanto tu sia lontano
“Non importa quanto tu sia lontano.
I legami tra le anime esistono perché creati dal pensiero.
Fili invisibili che legano ricamando sull’anima
tutto ciò che gli occhi non possono vedere,
e lo trasformano in emozione, in gioia, in dolore.
Anche in ricordo.
In sorriso o in lacrima.
Avviene tutto dentro.
Nei meandri del cuore, nei nascondigli della mente.
E vivono come tatuaggio sulla pelle dell’Anima.
E arrivano ovunque.
E toccano l’Oltre.
Un pensiero mi lega a te.
Un pensiero che gli altri chiamano Amore.
Io invece lo chiamo con il Tuo Nome.”
Catherine Morena Ramos, da “La quercia incantata”
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Foto di Sonia Simbolo