Denti di latte
noi siamo qui
io ti penso
sotto la lampada
e sei
ma in una forma leggera
piccolo tondo scavato
con questo aiuto di carta
nella mia mente d’amore
ma in una forma leggera
stella di latte nel vetro
tutti ti guardiamo
ma a me sarai amica, luna, ancora?
sei ancora viva stai ancora male
sei ancora viva stai ancora male
sei ancora viva e mi dimeno
ti getto un ponte continuo riso d’amore
ma sotto trema come l’acqua il cuore
mentre tu lotti senza poterti aiutare
dolci ricordi fanno l’inutile vela
l’inutile stella l’inutile bianco sul mare
riportato, accusato, quali accuse?
alla stanza alla sedia tra le accuse rigato
t’hanno ciulato, palloncino;
era un po’ che scendevi
– non la maestà degli azzurri gomiti
d’acqua tra le piante verdi oltre Avignone
ma, crepitante, greto,
di furie concentrate,
sordo precipitante
o semisvanito curvo ricurvo aliante
non, io non so, non credo, non racconsolante;
ora, tra ferri palte di sofferenze oblii,
grida sollecitanti, là tra le grate suore
malinconie di spetri persuasive bianche
rapide infermiere, barellieri, altre
tra vita e morte scene
che non riporto;
dopodomani elezioni crescita forse
del movimento di lotta erma spostata
oltre le vergogne più vergognose nate
ricontraddizioni senza senza dolore
con un minor dolore e minori code
ma, io e te, palloncino, saremo ancora felici?
“non ti scordar di me, la vita mia
legata a te” gemeva una schifosa
canzon di merce, quelle che critichiamo
placidamente, mente, quando possiamo
scrivere pensare non tormentati tratti
tornavo campi case volti nel controvolo
vetroso fuggiti fuggiti senza più niente
sì, cava la cintura,
cuci asola e bottone,
laverò un bicchiere,
spostiamo sedie che
atti e cose utili,
lòchino, pezzetti
di belvità tranquilla
prorompano camomille
prorompano camomille
copri
copri copri
copri Gian
sta bianchezza lurida
vuota che mi urla
ti voglio tutta nera
coperta dai miei verbi
diventa adesso retro
torno di parole/ e di coperto nulla
me più nulla nulla
serve
ciacc’acqua nera
pozza da/ inobliabile
prorompano camomille laverò un bicchiere
prorompano camomille prorompano camomille
no non aver paura
figura mia distesa
dita pulsanti i circolo
labbra rimormoranti
tu non aver paura
ti porterò io fuori
di morte in una riva
o cameretta blanda
dove ragazza gira
dando e portando fiori
non aver mai paura
io ti porterò fuori
almeno avrai coperte
quelle che sai di casa
tiepidi albumi libri
quelli che sai di casa
telefonate amiche
quelle che sai per casa
parenti chiacchierate
quelle che sai per casa
no non aver paura
che ti porto a casa
mi sembra di sentire tutti gli urli
forse un pochino sempre fantuditi
ma correvo sùbito sùbito fuori
stagione di paralisi
milioni di minuti
chiara figura molle ruscello in sonno
volto scarlatto tempie uncinate davvero
occhio di rospo fissa pupilla rasente
lenzuolo ginocchio tronco viso braccio quasi monco
come se nel cristallo lancette dense
oordinassero fuochi tremanti e rigidi
ooscillanti e fermi
uno strano remo che nell’acqua
penetrata liquefa
chi avrebbe pensato
che il muro avrebbe portato
consolazione?
che la consueta coperta biancomarrone
avrebbe quetato?
ma io che mi muovo ti penso mi agito
sono cambiato
mi sto/ abituando!/ all’idea/ che tu/ sparisca
così recidendo ogni idea di mia vita infinita
ti porgo il bicchiere l’impugni
l’imbuchi ingoiando la bianca
pastiglia lo torni fissando
chissà cosa pensando
un soffio la sera riuniti
per quanti altri soffi non so
per questa, ringrazio, fermata;
per quanto tu perda pian piano,
ti miro dormire, la luce,
ci sento, supplenti, durare
due, intrecciati, aldiqua
consueti moti di mani sull’erba
poca dei vasi nel giorno che inizia
corpo biancheggiante nell’anima dell’ombra
immoto che ritieni
dei moti e dei rumori
consueti o son dissueti”
Giancarlo Majorino, da “Provvisorio” in “Autoantologia”, 1999
“Denti di latte”
“Questo poemetto lo leggo sempre mal volentieri, perché la sua, come dire, intensità si richiama molto nitidamente a quel periodo grave che è stato contrassegnato dalla malattia e poi dall’estinzione di mia madre. E’ una vera poesia d’amore che però si muove da vari punti di vista in vari modi.
Era proprio lì, me la ricordo bene, stavo vicino al letto d’ospedale di mia madre, a volte da solo perché ero fuori orario, mi lasciavano entrare, ero sempre lì. E non capivo del tutto se lei capisse o no, infatti lei alternava stati di comprensione a stati di incomprensione – questi ultimi, purtroppo, in crescendo – e avevo in mano sto notes e scribacchiavo giù, là, su, lì…
Ecco dirò solo, aggiuntivamente, che questo è un inizio di grande amore ma leggero: ” noi siamo qui/ io ti penso/ sotto la lampada/ e sei// ma in una forma leggera/ piccolo tondo scavato/ con questo aiuto di carta/ nella mia mente d’amore// ma in una forma leggera /stella di latte nel vetro”.
E subito dopo c’è: ” tutti ti guardiamo/ ma a me sarai amica, luna, ancora?”. Mi ricordo che camminando, andando, facendo altre cose, continuava questo cuneo nel cuore, questo pensiero di una tragedia immedicabile.
Un altro punto che mi sembra avere anche un suo interesse -chi lo sa?- non solo per me, è ravvisabile nella quartina finale che dice: “corpo biancheggiante nell’anima dell’ombra/ immoto che ritieni/ dei moti e dei rumori/ consueti o son dissueti “. Ero come desolato del fatto che lei avesse, e le aveva, queste chiazze di comprensione. Per esempio, pensare che cosa provasse la mattina, lì distesa, sentendo magari dei rumori molto abituali, una persiana che si apriva, una donna che innaffiava una pianta, uno che parlava, mi sembrava straziante…”.
Giancarlo Majorino
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Ma chi sei tu? Persona somigliante
“ma chi sei tu? persona somigliante,
estranea insieme, chiedo un po’ pedante
mentre furiosi conversiamo in tanti.
Fisso lo sconosciuto rovistando
architetture e macerie, balzi e stralci
di un comparabile volto sgrumato.
I suoi occhi mi tengono lontano;
preferirebbe ci legassimo a un gioco:
ci sto e continuo a misurare quel poco
che nega e torna, dentro e fuori, già,
la superficie e la profondità.
Metropolitane e viali colle ali.”
Giancarlo Majorino, da “La solitudine e gli altri” in “Autoantologia”, 1999
“ma chi sei tu? persona somigliante”
“Questo è uno dei centri di pensiero della raccolta, che tratta della solitudine ma insieme della necessità che si misuri con altri, che non si isoli. Quasi un paradosso. E ha un gran finale: “Metropolitane e viali colle ali”.
In un certo senso mette in scena, mette in prova i rapporti con gli altri in tutta la loro difficoltà. Proprio perché ho sempre sostenuto l’idea che anche le tesi avverse vanno trattate al massimo delle loro ragioni e irragioni, perché altrimenti si vince sempre, ma in realtà non si vince mai”.
*****
Achtung
O luminosa città,
un doppio petto di gonfi negozi centrali
arrossa guance di donne, bambini con pacchi,
ebbri di ciò che verrà.
Regali, regali, la gente regala e dimentica;
anch’io, città, che cammino e s’è aperta una fossa,
ti regalo qualcosa:
una poesia nuova (m’aiuta l’auto nera di Krupp tornata in cortile)
Tozze case scientificamente disposte
quasi filari alveari (non paragoni)
zeppe di scheletri umani prima di notte saranno
sotto le docce nel gas a scavare le fosse terra che poi coprirà
le membra umane aghi pinze fruste caverne paludi tane letame
uomini donne tornati sugli alberi o rane carogne con calzoni giubbe sottane
strappano denti unghie dita mani con denti unghie dita mani vincenti
otto quintali di capelli urgono alla fabbrica Rosch?
questa bambola che acquisti hai guardato i suoi capelli?
l’orsacchiotto ha gli occhi tristi? sono gli occhi di un ebreo
che suo figlio giudica (esagerato) colpevole Eichmann.
Poesie che si tradiscono galleggiano
come scatolette, feci, preservativi usati, saliva, macchie sull’acqua.
Krupp è tornato: festeggiato da amici e diplomatici
beve lo champagne che per fine anno abbiamo prenotato
anche noi;
anche tu che leggi, e c’è poco da leggere qui,
le donne violentate, è ovvio, in quel momento
sono beate: nessuno le strazia in quel momento.
Ilse netta le zampe nel grembiule della bimba che càpita
“torturerò anche te quando sarai più grande”;
penzolano ai ganci quarti d’uomo,
orbita presso l’orbita, come i quarti di bue
che cuochi apprestano per cena a noi che passeggiamo
tra i negozi centrali, brava Milano.
Giancarlo Majorino, da “Lotte secondarie” in “Autoantologia”, 1999
“Achtung”
“Questa poesia è stata riportata in alcune antologie ed è stata commentata molto bene da Alfonso Berardinelli.
Il contenuto è abbastanza chiaro, ma bisogna sapere chi fosse questo Krupp. Krupp era il più grande industriale tedesco ed era stato imputato di colpe non lievi per l’aiuto dato al nazismo durante la guerra. Il fatto che tornasse questa auto di Krupp e che fosse festeggiato l’avvenimento era un colpo per chi sognava una distribuzione di giustizia vera.
Qui, se vogliamo, l’aggancio profondo -oltre che con ciò- è dato da una narrazione in versi, che lega il clima natalizio di Milano con quegli orrori precedenti. Il finale in questo senso è molto esplicito: <penzolano ai ganci quarti d’uomo/ orbita presso l’orbita, come i quarti di bue/ che cuochi apprestano per cena a noi che passeggiamo/ tra i negozi centrali, brava Milano>”.
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Così malinconioso fa il suo bagno
“così malinconioso fa il suo bagno
luglio granoso bollente sudadita
tentennando la boccia entra nell’acqua
scarpe con i piedi punte parallele
avevamo 1 pullman per andare al mare
un’orca immane pelacqua rizzatasi
stappò l’elefante marino da terra
inghiottendolo mezzo esofagendolo
lo trascinò nei tunnel gelidi sotto
pensa germano fiatante lettore
futuro se mai terminasse il respiro
urla mai udite sguardo tinta ferro
tra i vermi, nelle pozze, negli stomaci
predoni, in interstizi
quei vagabondi a aliare, poi? più visti
Giancarlo Majorino, da “Tetrallegro” in “Autoantologia”, 1999
“Così malinconioso fa il suo bagno”
“Avevo visto una grande scena, in un documentario televisivo, di un’orca marina che quasi uscendo a metà torso, si potrebbe dire, aveva afferrato un elefante marino, altro bestione enorme ma non come l’orca marina, e lo aveva strappato dalla riva per portarlo giù con sé, nei tunnel dell’oceano. E’ una scena impressionante, ma siccome penso che la poesia possa fare tutto, mi sono messo al lavoro con piacere.
La cosa è venuta fuori in una quartina che penso sia carina e però poi il tutto, come succede spesso con le poesie, è stato come avvolto da altri elementi.
Uno mi preme sottolineare ed è quello per cui siamo talmente bombardati da morti riportate, da morti viste e così via, e quindi orrendamente considerandole un elemento tra gli altri senza importanza che non ci rendiamo conto di cosa vuol dire davvero la morte, per sé e per quelli che ci sono cari”.