“L’incontro non ha testimoni. Eumeo non sa ancora chi sia il mendicante a cui fa da guida. Cane e padrone non si sfiorano, ogni gesto sarebbe inopportuno, rivelatore. Esigui sono i segni: le orecchie del cane che si drizzano in alto e poi si ripiegano, la coda appena mossa, la lacrima che Ulisse si affretta ad asciugare. Una sola lacrima è il compianto funebre per Argo.
Il padrone passa oltre e il cane muore. addio, fedelissimo Argo.
Non sappiamo perché il cane prediletto da Ulisse, il suo compagno di caccia e di liete avventure giovanili, è stato trascurato, abbandonato, dimenticato. Perché Telemaco o Penelope stessa o i buoni servi fedeli non si sono presi cura di lui.
Perché non è stato accolto in casa accanto al focolare o presso il talamo, ai piedi di quel letto costruito da Ulisse, il letto nuziale inamovibile, innestato sul tronco dell’ulivo.
Perché non hanno provveduto a portargli il cibo o a preparargli un confortevole giaciglio quando, privo di forze, non riusciva più a camminare.
Forse Argo era morto da tempo quando Ulisse fece ritorno ad Itaca. Morto di crepacuore, come Anticlea, la madre, che gli viene incontro nell’Ade e che egli tenta invano di stringere tra le braccia.
I morti, si sa, scendono all’Ade. Ma dove vanno i fantasmi degli animali, dei compagni più amati, che non hanno diritto di asilo in alcun luogo dopo la morte? Dove, se non sulla soglia di casa, a guardia e in attesa? Quello è il suo posto, il posto del cane fedele, che non capisce ma non dubita e non dispera.
Attende.”
Maria Grazia Ciani, da “Storia di Argo”, 2006