“È sindemia quando la malattia colpisce tutti, ma il modo in cui ognuno la subisce è diverso.
Diverso se sei giovane o anziano. Se sei sano o sei malato. Se hai accesso a cure tempestive o se non hai la possibilità che qualcuno si prenda cura di te.
È sindemia quando la malattia fa male anche se non la prendi. E anche in quel caso, fa male in modo diverso.
Se sei costretto a lavorare fuori comunque o puoi farlo da casa. Se la casa dove sei potuto restare è grande o piccola. Se hai un lavoro tutelato o se te lo sei dovuto inventare ogni giorno. Se hai un’attività solida o fragile. Se sei uno studente con tutto il necessario per imparare anche a distanza o se in casa non ci sono abbastanza computer, o nessun computer e neppure internet.
Se sei bianco o sei nero. Se sei donna o sei uomo. E l’elenco potrebbe continuare a lungo.
E in tutto il mondo, i milioni di morti, le decine e decine di milioni di persone che hanno perso il lavoro, o lo perderanno, che non recupereranno l’istruzione perduta, scivolando ancora più indietro nella scala sociale, si concentrano tra chi era più debole: non solo di salute, ma anche economicamente e socialmente.
Questa è la sindemia.”
«Sindemia» è una parola coniata dall’antropologo americano Merril Singer, e ripresa quest’anno dalla prestigiosa rivista scientifica “The Lancet” per riferirsi alla pandemia da covid-19. Una parola che significa, letteralmente, l’insieme di problemi di salute, ambientali, sociali ed economici prodotti dall’interazione sinergica di una o più malattie trasmissibili, caratterizzata da pesanti ripercussioni, in particolare sulle fasce di popolazione svantaggiata.