Pensieri

Tutto ti è dato se sei pronto a dare tutto

31.05.2022
“Per molto tempo, sono stato uno studente. Ho trascinato i miei studi a lungo – si può dire che non abbia mai smesso di essere uno studente. Quando mi sono laureato – perché non ho potuto farne a meno – mi sono chiesto come avrei potuto inserirmi nella grande macchina del mondo. Il mondo degli affari, della diplomazia, dell’esercito, questo. Qual è il mio posto lì dentro? Non so cosa voglio – so cosa non voglio, mi dicevo. Dopo aver viaggiato in tutta Europa, mi sono convertito al cristianesimo, ho scoperto il Vangelo. E con il Vangelo, sono diventato povero. Non era difficile. Non ricevevo soldi dalla mia famiglia. Era bello. Ho iniziato un lavoro in città, quanto bastava per vivere, ho continuato a studiare, ho conosciuto amici.
Ma la povertà, in città, è sempre qualcosa di artificiale. Così, sono andato per le strade, senza un centesimo in tasca: sono diventato un vagabondo, come dice il Vangelo. Se chiedi un pezzo di pane o un bicchiere d’acqua, lo ottieni sempre, magari dopo un po’ di lavoro in una fattoria. Sono stati i giorni più belli della mia vita. Libero come un uccello, da allora non ho mai goduto quella stessa gioia immacolata, pura.
Tuttavia, una vita così bella non può durare a lungo. Negli anni Trenta, abbiamo percepito il sorgere della guerra. Da dove arrivava? Perché? La piaga creata dagli uomini contro cui le mani dell’uomo non possono nulla. Ma soltanto soffrire. Ero giovane, ma avevo capito che la guerra non cade su di noi come una pietra. Non è una calamità naturale. La nostra pace rende la guerra inevitabile. Perché? Le spiegazioni che si danno per il sorgere di una guerra sono superficiali: odio, necessità economiche. La guerra, in effetti, porta piaghe devastanti: miseria, schiavitù, lotta civile, rivoluzione. Qual è la via di uscita? Ho pensato che soltanto un uomo possedesse le chiavi per uscire da questa prigione. Il Mahatma Gandhi.
Avevo sentito parlare di lui. Avevo letto alcuni suoi scritti a vent’anni. Certo, mi aveva toccato, ma in modo remoto, come si leggono le storie dei santi, inaccessibili. Mi pareva troppo. Infine, sono andato a Wardha, a Sevagram. Trovai il vecchio seduto sulla soglia della capanna. Mi fece sedere di fianco a lui. Mi chiese chi ero, da dove venissi. Parlando di me, scoprii che ero nulla, che nulla avevo fatto, che nient’altro desideravo che servirlo. Forse proprio quel nulla è piaciuto a Gandhi, “Bapu”, che mi ha preso come figlio, mi è stato maestro. Pensavo che sarei rimasto con lui per sempre.
Amavo l’India. Avevo soltanto due “dhoti“, mangiavo con le dita, per terra, mi lavavo all’aria, come tutti. Mi sono interessato di meditazione e di preghiera, avrei voluto diventare indiano, ho pensato che la cosa migliore era andare in Himalaya, a Gangotri e Jamnotri, e così ho percorso la via. Non c’erano strade, dovevi arrampicarti tra le rocce. Ho imparato a prepararmi a qualcosa di diverso da ciò che sognavo. In montagna, una notte, ho sentito una voce che mi diceva, “Shantidas, dove vai? Torna a casa!”. Mi sono voltato. Nessuno. Soltanto le stelle. Attendevo una spiegazione – ma non c’erano spiegazioni. Ho scritto a Bapu dei miei sogni. Sono tornato a trovarlo. Mi ha ascoltato con molta pazienza, avevo grandi idee per il mio paese, enormi progetti. “Questo è buono, è perfetto. Ma voglio chiederti una cosa: sei chiamato? Perché se non ti senti chiamato, la tua intelligenza, il coraggio, le virtù, ti serviranno a poco. Se sei chiamato, ti saranno concesse anche le virtù che ti mancano”. Ecco, questo mi inquietava. Come si fa a sapere che sei chiamato? Molti pazzi credono di essere chiamati da Dio. Gli uomini esprimono le proprie vanità – vogliono fare grandi cose, essere grandi uomini.
Sono tornato in Europa nel 1938. Il mondo era pronto per la guerra. I miei amici volevano ascoltare la mia avventura indiana, perché l’India ha il nitore di una leggenda. La giungla, le tigri, le scimmie, i saggi, e tutto il resto. Quando ho parlato di pace e di non violenza, sorridevano, un po’ irritati. Come potevo essere capito? Pensai che il Signore mi avesse dato un segno. Il “non chiamato”.
Perché Gandhi mi attrae? Ho trovato in lui ciò che cercavo. Anzitutto, l’unità della vita. Dal lavoro manuale, che ti dà il pane, alla preghiera, il senso è lo stesso. Non hai più vite, quella familiare, quella amorosa – che non ha nulla a che fare con quella familiare –, quella intellettuale, quella professionale, quella politica, quella religiosa. Tutte queste vite sono un mondo a sé. Cambiamo vita come cambiamo camicie. Indossiamo maschere. Eppure, abbiamo un solo volto – conformiamoci a una sola vita. […]
Guadagna, gestisci un’impresa, ottieni denaro, conquista profitto e potere. Questa è la morale del nostro tempo, che si può applicare in modo onesto, per il bene nostro e degli altri. Non c’è nulla di male. I buoni e i cattivi sono parte dello stesso mondo, dentro il peccato originale, e lo pagano perché è tutto. Ora, se guardiamo alla scienza, la scienza come si è sviluppata in Occidente, essa non è conoscenza (“vista“), cioè osservazione della natura. Tutto il genio che Dio ha donato all’uomo si è volto al profitto, al frutto. Tutta la nostra intelligenza è a servizio del profitto, del potere. Questo è ciò che in Occidente chiamiamo scienza. E la punizione? Nessuna punizione. Dio non invia alcuna punizione. Solo cose buone cadono dall’Onnipotente. La pioggia, come il perdono, cade su tutti. I malvagi hanno la grazia, la forza vitale, l’intelligenza. Nessuna punizione, ma la pura conseguenza del peccato: la morte. Morte che è separazione. Siamo separati da Dio perché la scienza non conduce a Dio. Della separazione della scienza godiamo il frutto.
Qual è il frutto della scienza moderna e della tecnologia? Il frutto più bello, intendo, quello più significativo? La bomba atomica. Morte per tutti! Morte del mondo! Per chi l’ha inventata, per chi dovrà usarla, per i nemici e per gli amici. Né buoni né cattivi, né sciocchi né ladri. Semplicemente, impregnati del peccato originale. Come noi. E siamo tutti complici finché non troviamo una via d’uscita.
Certo, direte: devo vivere, devo mangiare, devo vestirmi, soprattutto quando piove e fa freddo. Eppure, non perdere tempo ad accumulare le cose, non lasciare che le cose si accumulino su di me. Non arrabbiarsi se perdo qualcosa che non mi è utile. Questo è conversione, capovolgimento, permutazione tra fuori e dentro. Capovolgersi per fuggire dal peccato originale. Qual è il contrario del peccato? L’amore. Qual è il contrario del peccato? Il sacrificio. Qual è il contrario del peccato? Non cercare il frutto nell’azione. Cosa dice la “Gîta”*? Agisci, ma il frutto non ti appartiene. Non preoccuparti, e accadrà. Non fare nulla per ottenerlo, arriverà solo se non lo cerchi. Tutto ti è dato se sei pronto a dare tutto. Alcuni di voi avranno intrapreso un’avventura senza alcuna previsione né scopo. Beh, non ti mancherà nulla. Troverai persone amiche. Non ti verrà rifiutato niente. Nessuno ti negherà l’acqua. Vi sarà dato da mangiare e vivrete liberi come uccelli. Non fanno del loro nido un granaio, non accumulano nulla. Volano.”
* La “Gîta”, o “Bhagavadgītā”, è un testo sacro dell’induismo, databile, secondo alcuni studiosi, al III secolo a. C.
Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, Brani tratti dalle conferenze da lui tenute nel 1977, ad Ahmedabad, in India, sul tema “Scienza e Non-violenza” – Fonte: Pangea
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Nella foto:  Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto (l’ultimo a destra) in una delle sue comunità rurali non violente, create sul modello dell’ashram  gandhiano – Foto Wikipedia

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