“Sulla spiaggia di Zuwara, Libia, ci sono dei corpi.
Un bambino.
Una donna avvolta in una coperta. Sono stati riportati dal mare, dopo l’ultimo naufragio. La sabbia sulla faccia, che quasi non si vede più.
Un bambino ha una camicetta, un po’ verde, un po’ blu.
Uno è avvolto in una coperta con i fiori, o forse è una tutina, di quelle con i piedi. Difficile distinguere che cosa è stoffa e cosa bagnasciuga.
Non la pubblicherò, perché mi dà la nausea. Perché se fosse mio figlio, morto, non lo vorrei in pasto al mondo. Non la pubblicherò perché ho già passato del tempo, nella mia vita, a rispondere a quelli che “Eh ma è una foto finta, un bambolotto, guarda com’è bianco!”, spiegando che è quello che l’acqua fa a un corpo, quando ci anneghi dentro.
L’ho già fatto, e non lo voglio fare più. Non la pubblicherò perché io non lo so, sinceramente non lo so, se ha senso pubblicare queste foto: colpiscono chi vorrebbe affondare i barconi, fanno cambiare idea? O forse colpiscono solo – e fanno male – chi è già sensibile?
Non la pubblico, ma è successo.
Succede.
Succederà.”