Non scrivo poesie solo quando sento un disagio. Ma spesso è così.
Qualcosa è lì, mi gira attorno, martella, scalpita, vibra. Insomma, deve essere portato alla luce, ed è molto probabile che solo rendendolo visibile io starò meglio.
A volte condivido qualche poesia sui social, a volte no.
L’ultima poesia che ho pubblicato su facebook, “A me basta”, è nata in questo modo.
In un pomeriggio di inizio autunno mezzo piovoso, avevo solo il desiderio di stare con me stesso, di dar voce a una diffusa stanchezza di sottofondo, di vedere materializzarsi delle parole che rimanevano ancora lì, nate in qualche solco del cuore e appese tra il cervello e la gola.
Ho scritto, riletto e subito pubblicato.
A ME BASTA
Davvero avete bisogno
di sapere se il clima è impazzito
se quella ragazzina è manovrata
se è vero che i ghiacciai si sciolgono
se l’Amazzonia brucia
se la plastica soffoca gli oceani
se il pianeta collasserà nel 2050
se le emissioni di Co2 sono sopra il livello di guardia?
A me basta
osservare la fila di auto al mattino sulla statale
per finire almeno otto ore al giorno in contesti tossici
costretti in ansie e doveri
vedervi fare quello che anestetizza l’anima
e non quello che vi libera
per tornare la sera cinici ingrigiti
A me basta vedere i vicini di casa
che sono più irritati dalle foglie della quercia in autunno
che dal rumore e dalla polvere dei camion
A me basta
sapere che vi sembra normale
lasciarvi imbruttire da un’altra banalità
incazzarvi per un commentino sui social
ma ignorare il continuo sperpero della vostra vita
e non cantare mai
A me basta
vedere quel ragazzino che si chiude in casa per sempre
perché non ne vuole sapere di questa infelicità
di questa burocratizzazione dell’umano
di questi adulti così marci che non comprendono
che la vera emergenza
è non saper riconoscere la meraviglia di un fiore
A me basta
vedere un esercito di depressi che bramano psicofarmaci e ansiolitici
riempiendo le tasche velenose di chi gli sta rubando la vita
e sentire dentro di me che questa depressione
è una ovvia risposta del corpo a tutto quello che non va e a cui non dico di no
A me basta
essere allergico al polline e far fatica a respirare
per l’aria tumorale di questa pianura
che cresce come il vostro Pil
A me basta
vedere i tuoi parenti che muoiono di cancro
per Augusta, per l’Ilva, per l’acqua contaminata, per il cibo guastato dal profitto
e sentire gli schiavi degli schiavi che dicono
“meglio morire di lavoro che di fame”
A me basta vedere
quanti soldi buttate per la ricerca contro le malattie
quando è questo costringersi alla falsità
che ci fa esplodere il pancreas
distrugge la cistifellea e annerisce il colon
e che le cellule diventano tumorali
perché la bellezza è oscurata e la gioia non trova spazio
Avete ancora bisogno di ascoltare i dibattiti e ragionare sui dati
per sapere che la casa è in fiamme
che l’inquinamento fuori è identico a quello dentro l’umano
che tu per primo stai bruciando
e che basta
la tua attenzione gentile
che ti fermi adesso, che respiri, che ti vedi
che basta
il tuo cuore aperto e vulnerabile
per curare tutto il mondo?
A me basta
Il giorno dopo accendo il telefono e vedo che è successo qualcosa che sfugge alla mia comprensione.
“A me basta” è condivisa da più di mille persone e sono subissato da richieste di amicizia.
Anche grazie alla Web Comunity “Poeti Viandanti”, dove le condivisioni sono più di 14.000, la poesia ha avuto un passaparola di dimensioni esagerate, almeno per quello a cui sono abituato io.
La cosa mi fa ovviamente piacere, ma ancora non capisco. Ho scritto e condiviso diverse poesie, e alcune mi sembravano di gran lunga migliori di questa. Come mai questo successo?
Leggo alcuni dei tanti commenti…
“Sei sul pezzo Gio”….
Sul pezzo? Io?! Io che mi sento sempre più (fortunatamente) inattuale, che mi tengo lontano dal sentito dire, dalle mode del momento e dal socially correct…. se c’è qualcuno che è sul pezzo…. quello non sono io…
Poi leggo i giornali… ora sì… capisco… le manifestazione sul clima, i fridays for the future…
Le prime parole della poesia si riferiscono chiaramente alla situazione ambientale e la frase “sapere se quella ragazzina è manovrata” allude senza ombra di dubbio a Greta Thumberg.
Comprendo di aver scritto e pubblicato queste parole, senza averci prestato molta attenzione, in un giorno e in un momento storico particolare.
Alcuni blog ne parlano come di una poesia sul clima, alcuni copiano e incollano il mio scritto associandola alla foto di Greta a o alle manifestazioni degli studenti.
Mi metto a leggere alcuni commenti alla poesia: molti ringraziano l’autore, altri sono certi dell’imminente autodistruzione del genere umano, altri esortano a fare subito qualcosa, chi puntualizza sull’uso degli psicofarmaci, i più divertenti quelli che chiedono se chi ha scritto la poesia ha l’aria condizionata o usa l’auto per andare al lavoro…che insomma un po’ di coerenza.. comodo parlare di salvare il pianeta e poi eh… tu cosa fai?
Io mi godo con un sorriso questo spettacolo di umanità meravigliosa e stupida, grandiosa e meschina, ignorante e sublime.
Mi verrebbero da dire molte cose ….per esempio che la poesia che non era propriamente sul clima, ma su un mio personale disagio, che è anche un disagio di molti; che non è pro Greta o contro Greta, non è complottista o anticomplottista, non è per salvare il pianeta (come scrivevo già anni fa tu non sei preoccupato del pianeta ma vuoi giustamente salvarti il culo) o per imporre soluzioni.
Mi verrebbe da rispondere ad ognuno, puntualizzare, dire che pochi si sono soffermati ad esempio sulla “schiavitù psicologica del lavoro e al suo rapporto con le malattie, o sulle parole “l’inquinamento fuori è identico all’inquinamento dentro l’umano” e che forse più che sul clima la poesia tratta di inquinamento interiore….
Ma poi, le poesie non si spiegano, specialmente le proprie.
E allora ho lasciato andare tutto.
So che è difficile stare con quello che c’è.
La poesia è semplicemente una poesia, ed è proprio quello che c’è scritto.
Ognuno di noi è un mondo a sé: è diventato così difficile ascoltare, leggere, non buttare subito la prima opinione nel grande calderone della finta partecipazione. So che la distanza tra la realtà e la percezione della realtà, specie in questo paese, in alcuni individui raggiunge livelli altissimi, e che l’analfabetismo funzionale è una piaga seria.
Ma va bene così: questo oggi è il gioco e se scelgo di condividere delle parole so che questo è il terreno di gioco, un terreno tanto insidioso quanto interessante.
E poi so che se pubblichi una canzone, un film, una poesia, quella poesia non è più tua.
È di chi la legge, di chi la sente, di chi la incarna, di chi la pensa.
Ed è anche incredibile come in ognuno la poesia risuoni in modo diverso, ognuno ci veda qualcosa di particolare e di unico, che magari nemmeno io avevo visto: ecco la bellezza dell’arte.
Quindi fate ciò che volete delle mie parole, di questa e di altre poesie.
Solo prestate un’attenzione gentile e consapevole a quello che c’è scritto.
E ricordate che le vostre parole e i vostri pensieri sulla mia poesia dicono molto di più di voi che sulla poesia in sé o su di me.
Grazie con tutto il cuore delle vostre parole, delle vostre condivisioni e dei vostri apprezzamenti. Scusate se non riesco a rispondere a tutti quelli che mi scrivono. Grazie per il vostro sostegno e la vostra presenza.
P.S Mia nonna in realtà non c’è più, e non ha condiviso la poesia sui social. Era solo per piazzare un titolo ad effetto. Ma se ci fosse stata avrebbe voluto condividerla solo per fare un favore all’adorato nipote. Diotestradora nonna!
Giordano Ruini, “A ME BASTA. Storia di una poesia pluricondivisa anche da mia nonna”, 5 ottobre 2019 – Fonte: www.giordanoruini.com