Pensieri

L’arte rivoluzionaria della gioia

13.06.2022

“La sensazione di essere pienamente vivi, che sperimentiamo come felicità, può essere descritta anche come amore. Essere indivisi e non frammentati, essere completamente presenti, è amare; prestare attenzione è amare.

Il grande maestro indiano Nisargadatta Maharaj una volta disse: “La saggezza mi dice che non sono niente. L’amore mi dice che sono tutto. La mia vita scorre tra questi due termini”. “Non essere niente” non significa che abbiamo dentro una lugubre terra desolata, significa che con la consapevolezza ci apriamo a uno spazio chiaro, libero, senza centro o periferia: niente di separato. Se noi non siamo niente, non c’è nulla che possa fare da barriera alla nostra infinita espressione d’amore. Non essendo niente noi siamo anche, inevitabilmente, tutto. “Tutto” non indica un ingrandimento dell’io, ma un riconoscimento decisivo dell’interconnessione: non siamo separati. Sia il chiaro spazio aperto del ‘niente’, sia l’interconnessione di ‘tutto’ ci risveglia alla nostra vera natura.

Quando meditiamo noi raggiungiamo questa verità, questo sentimento di unità oltre la sofferenza. Essa è sempre presente, abbiamo semplicemente bisogno di essere capaci di accedervi. Conoscendola attraverso l’esperienza diretta, assaporiamo un profondo cambiamento nella percezione di noi stessi, del mondo e della vita. Possiamo anche chiamarla salute dell’unità. La parola salute significa appunto “il tutto“. La salute più profonda, perfino oltre la vita e la morte, risiede nella nostra inerente completezza, integrazione e connessione. […]

Il maestro di meditazione tailandese Ajahn Chah così descrive la felicità che possiamo ottenere attraverso la pratica della meditazione: “La vostra mente diventerà immobile in qualsiasi condizione, come uno specchio d’acqua nella foresta. Tutti i generi di animali rari e meravigliosi verranno a bere quell’acqua e voi vedrete chiaramente la natura di tutte le cose. Vedrete molte cose strane e meravigliose andare e venire, ma resterete fermi. Questa è la felicità del Buddha”. La felicità infinita del Buddha era fondata sulla chiara visione e sulla compassione, che pervadevano la sua vita in tutte le circostanze. Questa è la “quiddità“.

Tale felicità ci trasforma dentro e rivoluziona il nostro modo di vedere il mondo fuori. Infatti sparisce il concetto stesso di dentro e fuori.

Dimorare pienamente nel presente è la fonte di questa felicità. Ci apriamo all’esperienza e inevitabilmente essa ci apre agli altri. Essere veramente felici in questo mondo è un atto rivoluzionario, poiché la vera felicità dipende da una rivoluzione in noi. È un cambiamento radicale di prospettiva che ci libera, così che più sappiamo in profondità chi siamo, più possiamo conoscere la nostra enorme capacità di amare. Siamo liberati da questa verità: ciascuno di noi può prendere tempo e prestare attenzione. Possiamo essere il karmapa * o quel monaco che attraversava il campo di battaglia, è nostro diritto. La nostra propria felicità può cambiare la storia.”

* Nel buddhismo tibetano, il karmapa è il capo della tradizione ed è considerato l’incarnazione del karmapa precedente.

 

Sharon Salzberg (insegnante buddhista statunitense), da “L’arte rivoluzionaria della gioia, 1995

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Nell’immagine: Scultura dell’artista giapponese Euglena, realizzata con i semi del soffione

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