Linguaggi

La poesia, il renga e il Dharma

15.06.2022

“Si racconta che il Buddha, mentre si trovava sul monte Gridhrakuta, colse un fiore di fronte ai suoi discepoli e lo tenne a lungo davanti a sé contemplandolo. Coloro che lo circondavano si attendevano una spiegazione di quel gesto, mentre Mahākāśyapa si limitò a sorridere al maestro che reggeva il fiore. Il Buddha disse allora: «Le parole non possono raggiungerlo, le parole non possono insegnarlo e questa è la verità che ho appena insegnato a Mahākāśyapa». Da quel giorno Mahākāśyapa divenne il primo patriarca dello Zen poiché, proprio in questo kōan, noto come “Il Sermone del fiore” (教外別傳) (ma anche “Il Fiore e il sorriso”), è racchiusa l’origine dell’interpretazione Zen, ossia una trasmissione conoscitiva (prajñā) capace di aver luogo oltrepassando il medium della parola o della scrittura. I quattro versi più importanti in questa storia sono infatti: 
教外別傳 Una comunicazione che oltrepassa la scrittura
不立文字 non fondata sulla parola scritta           
直指人心 che mira direttamente alla mente umana           
見性成佛 e arriva alla buddhità attraverso se stessi          

Sergio Caldarella, da “Digressione Zen: il dicibile nell’indicibile, una lezione per l’occidente”, in “Studi Collaterali. Rivista di Cultura e Pensiero”, Nr. 43, Vol. IV, Milano, 2014

(Dharma è un termine sanscrito che nelle religioni dell’Asia meridionale sta ad indicare propriamente ciò che è a fondamento della realtà, ossia le leggi che regolano l’ordine cosmico, ma anche l’insieme delle pratiche necessarie a preservarlo. Nel buddhismo, il Dharma è l’insegnamento del Buddha, ma anche la via dell’illuminazione)

*****

 

Le Cose Ordinarie

Le cose ordinarie sono profonde
quanto incubi e visioni,
non nascondono i loro inviti.

Ricorda il Maestro cinese
che sprofondò nella pace
dopo una lunga notte di pioggia
martellante sul suo tetto di bambù.

E certe volte di sera,
quando luce e oscurità
sono impegnate a rimescolare misteri,
ci dimentichiamo di noi in modo lucido,
delicato, e quello che resta è solo
felicità e dolore
e la purezza che non può essere vista.

Ajahn Abhinando

*****

Evocazione

 

Sai come inizia. Ti porti fuori nei boschi di betulle invernali
che bruciano dal sole tardivo .
Pulisci un piccolo cerchio umido di terra e
dai fuoco alle pagine che hai con te – note
e pagine del Dhamma anche l’uomo della spazzatura, in tutta la sua oscurità, non è il
benvenuto. E non bruciano.

Poi sono alcune foglie di castagno pergamena, ramoscelli di betulla. E,
in qualche modo, ti ritrovi seduto, avvolto nella
coperta di tua nonna, da un piccolo fuoco vibrante in un buio incalzante,
dove anche le stelle non vogliono. Seduto lì – l’unica persona che ti ha
mandato a morte i marshmallow – con l’incertezza tremolante dei
ramoscelli.

Ed eccolo. Una piccola cosa è divampata nell’accadere.
La vita cresce di momento in momento, riscalda, ripara: il
fumo dolce e pungente del sambuco che brucia, il familiare
caldo/freddo davanti e la bellezza di stare in compagnia della
Notte stessa.

Lei canta per me, e il fuoco canta per essere nutrito: una chiamata e una risposta,
un contrappunto, un’evocazione di liberazione.

Sì, cosa succede quando la pila che avevi raccolto viene bruciata e
tutto ciò che ti circonda viene bruciato? Il fuoco si spegne. Le braci brillano e si
raffreddano. La notte rivela il suo pieno splendore.

Nulla di aggiunto, cessa il bruciore: fatti coraggio.

 

Willa Thaniya Reid

 

*****

 

Parlo all’acqua

Parlo all’acqua,
non la tocco, non disegno
lettere sulla sua superficie,
ma le sussurro pensieri, per ore.
Non le parlo con la rabbia
di chi ha sempre sete,
impaurita si contorcerebbe!,
che le sue molecole sono facili
ad agitarsi, assumere forme
deformate, e disperdersi
in disarmonica confusione.
Le parlo d’amore.
Trasformo lei, la sua morbida fisica
in geometriche figure regolari,
ripetute simmetrie trasparenti
di cristalli distillati,
che riflettono la fluida luce.
Spero che mai sappia
intuire un mio segreto, quando
con slanci giovanili sfidavamo
le nostre superstizioni, proponendoci
di urinare nell’acqua santa.
Non lo facemmo,
non ricordo il perché,
ma so che sembrava naturale
amare
gli amici e le belle donne
sui prati e nelle piazze
anziché parlare alle molecole
sconosciute,
in una stanza da solo
con davanti una bottiglia di plastica
piena d’acqua, sigillata al tempo.

 

 

*****

 

Alba d’inverno

Non ancora

la luce non ha scalato
il filo che
penzola dall’ultima stella polare

nessun suono nessun gelo nessun sole
nessun limite alla presenza
e tuttavia

come le maree primaverili come il respiro
come l’amore che non puoi trattenere
una tale alba espone le radici

che torcono e disegnano
un albero aggrovigliato nel cielo il rossore azzurro-verde
e ogni orizzonte scivoloso

da un terreno aperto
reso tranquillamente fruttuoso
dal ritorno di ogni tempo.

Parole lunghe da avvolgere
ma non ancora.
C’è una criminalità in bianco e nero.

E tutto ciò defluisce
nello splendore
mentre si veste di grigio perla

come il campo in cui svolgiamo il nostro lavoro:
sgomberare recinzioni e piste sterrate
e tutto ciò che si rompe entro l’estate.

 

 

*****

 

La Porta della Luna

 

Non c’era più nessun posto
dove la pioggia potesse
correre

i pannelli solari catturano
un cielo grigio opaco

questa collina che si
erge sopra
la terra d’inverno

trecentomila miglia
riflesse in una pozzanghera

una rapida esplosione di ali
di cera rossa
si disperdono

calzini di lana assortiti
circondano il tappeto

in soggezione alla grammatica
seguiamo regole di
cui non abbiamo mai sentito parlare

il bianco Buddha coperto di
muschio intorno alle sue ginocchia

il maestro di poesia ha detto
che se non capisci niente
va tutto bene

come convertire l’
amore digitale in analogico?

mentre l’orologio ticchetta i
ricordi suonano
a un ritmo diverso

un anno di lacrime
versate prima di colazione

disegna
piccoli villaggi
quando è perduta

il linguaggio della luce
racconta al giardino la sua stagione

come essere un artista?
invita qualcuno pericoloso
per il tè

la volpe nel giardino di Brian che
valuta le sue opzioni

cosa vedremo
quando sarà tutto oltre
il cancello della luna

semi di onestà
cerosi, traslucidi

il topo annusa con attenzione
l’aria all’esterno
della trappola aperta

rami in erba già neri di
cenere, punte edificanti.

 

Un Renga in inverno al monastero buddista di Harnham, il 27 dicembre 2012

(Il Renga, o “poesia a catena”, si sviluppa in Giappone intorno al XV secolo, ma la sua origine è certo più antica, dal momento che un  primo esempio compare già nell’antologia Man’yōshū (759).

Pur nella sua variabilità, il  renga è in genere costituito da una prima strofa, l'”hokku” (“il verso che comincia”), a sua volta formata da 5, 7 e 5 morae, alla quale segue il “wakiku” (“verso che corre vicino”), con  due segmenti di 7  sillabe ciascuno. A queste due strofe (ku”) se ne aggiunge solitamente  un’altra di 17 sillabe, cui fa seguito un “ku” di 14 sillabe. Questa struttura può essere ripetuta  diverse volte.

Il fascino del renga è legato al fatto di essere  creato e condiviso da un gruppo di persone che, trascorrendo una giornata insieme, possono dar vita ad una delle sue diverse forme: per esempio, il “nijuuin renga”, il più comune, è di solito ispirato a una stagione o ad un argomento preciso (come la luna o i fiori). Diverso è lo “hyakuin renga”, che richiede la composizione di 100 versi in 24 ore.

Ogni gruppo, prima di incontrarsi, nomina un Maestro, il cui compito è quello di scegliere l'”‘hokku” di apertura del renga, dopodiché ogni persona compone il proprio verso per poi  condividerlo. Il renga deve tuttavia mantenere saldi due principi stilistici fondamentali: il “tsukeai”, e l'”yukiyo”.

Il “tsukeai” riguarda la concatenazione tra i versi ed obbedisce alla regola per cui ognuno di essi  deve essere collegato al precedente, ma deve anche evitare  qualunque forma di ripetizione, aggiungendo, anzi, qualcosa di nuovo o addirittura invertendone il corso. Se  il “tsukeai” garantisce il flusso del renga, lo “yukiyo” ne preserva l’unità di fondo, non sulla base di un  disegno precostituito,  ma mediante passaggi (“utsuri”), che hanno lo scopo di evitare ripetizioni e circoli viziosi)

Partecipanti al Renga: 

Ajahn Abhinando
John Bower
Chandra Candiani
Linda Francia
Geoff Jackson
Martha Jackson
Neda Popovic Bras
Christine Taylor

*****

Fonte: Dhamma moon

Lascia un commento