Ariadne, abbandonata da Teseo dopo l’avventura del labirinto, venne raccolta sull’isola di Nasso da Dioniso
di ritorno dall’India, e finì in cielo tra le costellazioni.
LEUCOTEA: Piangerai per molto tempo ancora, Ariadne?
ARIADNE: E tu di dove vieni?
LEUCOTEA: Dal mare, come te. Dunque, hai smesso di piangere?
ARIADNE: Non sono più sola.
LEUCOTEA: Credevo che voi donne mortali piangeste soltanto quando qualcuno vi ascolta.
ARIADNE: Per una ninfa, sei cattiva.
LEUCOTEA: Così, se n’è andato anche lui? Perché credi che ti abbia lasciata?
ARIADNE: Non mi hai detto chi sei.
LEUCOTEA: Una donna che ha fatto quel che tu non hai fatto. Ho tentato di uccidermi in mare. Mi
chiamavano Ino. Una dea mi ha salvata. Ora sono la ninfa dell’isola.
ARIADNE: Che vuoi da me?
LEUCOTEA: Se parli così, già lo sai. Vengo a dirti che il tuo caro ragazzo dalle belle parole e dai ricci violetti,
se n’è andato per sempre. Ti ha piantata. La vela nera che è scomparsa sarà l’ultimo ricordo che ti lascia.
Corri, strilla, dibattiti, è fatta.
ARIADNE: Anche te hanno piantato, ché hai cercato di ucciderti?
LEUCOTEA: Non si tratta di me. Ma non meriti il discorso che ti faccio. Sei sciocca e testarda.
ARIADNE: Senti, ninfa del mare, che tu debba parlarmi, non so. Quello che dici è poco o troppo. Se vorrò
uccidermi, saprò farlo da sola.
LEUCOTEA: Credi a me, scioccherella. Il tuo dolore non è nulla.
ARIADNE: E perché vieni a dirmelo?
LEUCOTEA: Perché credi ti abbia lasciata?
ARIADNE: O ninfa, smettila…
LEUCOTEA: Ecco, piangi. Così almeno è più facile. Non parlare, non serve. Così se ne vanno sciocchezza e
superbia. Così il tuo dolore compare per quello che è. Ma finché il cuore non ti scoppierà, finché non
latrerai come una cagna e vorrai spegnerti nel mare come un tizzo, non potrai dire di conoscere il dolore.
ARIADNE: M’è già scoppiato… il cuore…
LEUCOTEA: Piangi soltanto, non parlare… Tu non sai nulla. Altro ti attende.
ARIADNE: Come ti chiami adesso, ninfa?
LEUCOTEA: Leucotea. Capiscimi, Ariadne. La vela nera se n’è andata per sempre. Questa storia è finita.
ARIADNE: E’ la mia vita che finisce.
LEUCOTEA: Altro ti attende. Tu sei sciocca. Non veneravi nessun dio nella tua terra?
ARIADNE: Quale dio può ridarmi la nave?
LEUCOTEA: Ti domando che dio conoscevi.
ARIADNE: C’è un monte in patria che incuteva spavento anche a quelli della nave. Là sono nati grandi dei. Li
adoriamo. Li ho già tutti invocati, ma nessuno mi aiuta. Che farò? Dimmi tu.
LEUCOTEA: Che cosa attendi dagli dei?
ARIADNE: Non attendo più nulla.
LEUCOTEA: E allora ascolta. Qualcuno si è mosso.
ARIADNE: Che vuol dire?
LEUCOTEA: Se ti parlo, qualcuno si è mosso.
ARIADNE: Tu sei solo una ninfa.
LEUCOTEA: Può darsi che una ninfa annunci un gran dio.
ARIADNE: Chi, Leucotea, chi mai?
LEUCOTEA: Pensi al dio o al bel ragazzo?
ARIADNE: Non lo so. Come dici? Io mi prostro agli dei.
LEUCOTEA: Dunque hai capito. E’ un nuovo dio. E’ il più giovane di tutti gli dei. Ti ha veduta e gli piaci. Lo
chiamano Dioniso.
ARIADNE: Non lo conosco.
LEUCOTEA: E’ nato a Tebe e corre il mondo. E’ un dio di gioia. Tutti lo seguono e lo acclamano.
ARIADNE: E’ potente?
LEUCOTEA: Uccide ridendo. Lo accompagnano i tori e le tigri. La sua vita è una festa e tu gli piaci.
ARIADNE: Ma come mi ha vista?
LEUCOTEA: Chi può dirlo. Tu sei mai stata in un vigneto in costa a un colle lungo il mare, nell’ora lenta che la
terra dà il suo odore? Un odore rasposo e tenace, tra di fico e di pino? Quando l’uva matura, e l’aria pesa di
mosto? O hai mai guardato un melograno, frutto e fiore? Qui regna Dioniso, e nel fresco dell’edera, nei
pineti e sulle aie.
ARIADNE: Non c’è un luogo solitario abbastanza che gli dei non ci vedano?
LEUCOTEA: Cara mia, ma gli dei sono il luogo, sono la solitudine, sono il tempo che passa. Verrà Dioniso, e ti
parrà di esser rapita da un gran vento, come quei turbini che passano sulle aie e nei vigneti.
ARIADNE: Quando verrà?
LEUCOTEA: Cara, io lo annuncio. Per questo la nave è fuggita.
ARIADNE: E a te chi l’ha detto?
LEUCOTEA: Sono di Tebe, Ariadne. Sono sorella di sua madre.
ARIADNE: Nella mia patria si racconta che sull’Ida nascevano dei. Nessun mortale è mai salito oltre gli ultimi
boschi. Noi temiamo anche l’ombra che cade dal monte. Come posso accettare le cose che dici?
LEUCOTEA: Tu hai molto osato, piccola. Non era per te come un dio anche colui dai ricci viola?
ARIADNE: Gli ho salvata la vita, a questo dio. Che ne ho avuto?
LEUCOTEA: Molte cose. Hai tremato e sofferto. Hai pensato a morire. Hai saputo che cosa è un risveglio. Ora
sei sola e aspetti un dio.
ARIADNE: E lui com’è? molto crudele?
LEUCOTEA: Tutti gli dei sono crudeli. Che vuol dire? Ogni cosa divina è crudele. Distrugge l’essere caduco
che resiste. Per svegliarti più forte, devi cedere al sonno. Nessun dio sa rimpiangere nulla.
ARIADNE: Il dio tebano… questo tuo… hai detto che uccide ridendo?
LEUCOTEA: Chi gli resiste. Chi gli resiste s’annienta. Ma non è più spietato degli altri. Sorridere è come il
respiro per lui.
ARIADNE: Non è diverso da un mortale.
LEUCOTEA: Anche questo è un risveglio, bambina. Sarà come amare un luogo, un corso d’acqua, un’ora del
giorno. Nessuno uomo val tanto. Gli dei durano finché durano le cose che li fanno. Fin che le capre
salteranno tra i pini e i vigneti, ti piacerà e gli piacerai.
ARIADNE: Morirò come tutte le capre.
LEUCOTEA: Sulle vigne, di notte, ci sono anche stelle. E’ un dio notturno che ti aspetta. Non temere.
Cesare Pavese, da “Dialoghi con Leucò”, 1945-1947
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Nell’immagine: Evelyn De Morgan, “Ariadne a Naxos”, 1877