“Meglio regnare all’inferno che servire in paradiso.
Piuttosto che essergli inferiore avrebbe preferito essere nulla.
Senza il minimo impulso né l’ombra del destino
o altro che da me fosse immutabilmente previsto
così trasgrediscono liberamente autori in ogni cosa,
giudicando e scegliendo a modo loro; per questo
li formai liberi, e liberi dovranno rimanere,
finché non si rendano schiavi da soli: altrimenti
dovrei mutare la loro natura, dovrei revocare
quell’alto decreto immutabile ed eterno col quale
la loro liberà venne ordinata; mentre è da soli
che ordinarono la propria caduta.
Me miserevole! Per quale varco potrò mai fuggire
l’ira infinita, e l’infinita disperazione?
Perché dovunque fugga è sempre inferno: sono io l’inferno.
Accanto l’astuto serpente
si insinuava, intessendo in un nodo gordiano
le sue spire intrecciate offrendo un segno
ancora inosservato dalla sua frode fatale.
Da quando hai rifiutato la bontà
la tua gloria si è persa, e ora tu assomigli solamente
al tuo peccato, e al luogo sicuro e infame della tua
dannazione.
Fra gli elementi è sempre
il più grossolano a nutrire il più puro.
Ora invece vedo che la maggior parte, per indolenza,
preferisce servire, Spiriti pronti solo ad eseguire,
addestrati nei canti e nelle feste.
Allo scopo di tenere discosti dalla mente umana i suoi principi, Dio
pose il cielo lontano dalla terra in modo che lo sguardo
terreno, così presumendo, si perderebbe in cose troppo alte,
e senza trarne il minimo vantaggio.
Il malvagio, in quell’attimo,
fu come astratto dalla sua stessa perfidia, afferrato
da stupefatta bontà, disarmato di ogni inimicizia,
d’odio e d’inganno, di invidia e di vendetta.
Io lo amo a tal punto da sopportare con lui tutte le morti,
mentre senza di lui non reggerei una vita.
La nostra condizione non si può dividere,
siamo una cosa unica, una carne, e perderti significa
perdere anche me.
All’orecchio mortale la voce di Dio è tremenda.
Perciò la legge appare imperfetta, e data solo allo scopo
di prepararli nel tempo a un’alleanza migliore, disciplinati
a passare dalle figure simboliche al vero,
dalla carne allo spirito, e dall’imposizione di leggi rigorose
alla libera accettazione di una vasta grazia
dalla paura servile al timore filiale, dagli atti legali
agli atti di fede.
Colui che viene come tuo Salvatore
non curerà la tua ferita distruggendo Satana,
ma le sue opere in te e nel tuo seme.
Aggiungi solo azioni che corrispondono alla tua sapienza,
aggiungi fede e virtù, pazienza e temperanza, aggiungi amore,
che sarà poi chiamato carità, che è l’anima di tutto:
non ti sarà penoso questo paradiso,
perché avrai un paradiso in te stesso,
e molto più felice.
Uscì balzando al suono di un turbine di vento
il carro di Dio Padre, e lampeggiava dense
lingue di fiamma, ruote nelle ruote, sospinto
dallo spirito interno che lo anima, e tuttavia guidato
da quattro forme di Cherubini. Ognuna delle quali
aveva un volto stupendo, e il corpo e le ali cosparsi
di occhi quasi che fossero stelle, perfino
le ruote di berillo erano fitte d’occhi, e fra loro
fiammeggiavano fuochi: sul capo un firmamento di cristallo
dove splendeva un trono di zaffiro, intarsiato
di purissima ambra, con i colori dell’arcobaleno.
Completamente armato d’una panoplia celeste di limpido
Urim divinamente lavorato Egli salì sul carro;
alla sua destra stava la Vittoria, con le ali d’aquila,
mentre al fianco gli pendono l’arco e la faretra
munita di tuono trifulmine, e accanto rigurgita
una violenta spirale di fumo, di fiamme che guizzano,
e spaventose faville. Avanzò accompagnato
da diecimila migliaia di santi, e da lontano
lo si vide venire risplendente, e diecimila carri
di Dio da ogni lato: questo infatti il numero
che mi fu dato di udire. Cavalcava sublime sulle ali
di Cherubino nel cielo di cristallo, sul trono di zaffiro,
illustre ovunque, e però visto per la prima volta
dai suoi fedeli; sorpresi da una gioia inaspettata
quando la grande insegna del Messia rifulse
portata alta dagli angeli, il suo segno in cielo;
e sotto quella guida rapidamente Michele ricondusse
tutto l’esercito, che prima era disperso alle due ali;
sotto il suo Comandante lo unì in un corpo unico.
Lo precedeva il Divino Potere, aprendogli la strada;
al suo comando i colli sradicato ritornarono
ognuno al proprio posto; udita la sua voce
si mossero obbedienti; il cielo rinnovò l’usato aspetto,
con fiori freschi sorrisero la valle e la collina.”
John Milton, da “Paradiso perduto”, Libro I, 1667 (Traduzione di Lazzaro Papi)
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Illustrazione di Gustave Doré
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Nell’immagine: Johann Heinrich Füssli, “Il sogno del pastore”, 1793