Scarpe che guardano il Danubio, sognando l’incanto del suo blu e un valzer tutto da danzare?
No. Sono scarpe che ricordano l’orrore.
Gennaio 1945.
Qui a Budapest l’Armata Rossa sta per arrivare.
I miliziani delle Croci Frecciate portano sul fiume gli ebrei rimasti nel ghetto. Sono circa 78.000 persone.
Alcuni vengono fucilati davanti alla Sinagoga; altri, legati in gruppi di tre con filo spinato, vengono trascinati sulla riva, uccisi con un colpo di pistola alla nuca e buttati nel fiume. Chi, fortunosamente, è ancora in vita, viene trascinato sul fondo dai compagni a cui era legato.
Il “Cipők a Duna-parton” (“Scarpe sulla riva del Danubio”) conserva la dolente memoria di questa infamia.
L’installazione, inaugurata dal governo magiaro il 16 aprile del 2005, è opera del regista teatrale Can Togay e dello scultore Gyula Pauer.
Una fila di scarpe in bronzo o in ferro, una fila lunga 70 metri. Ogni scarpa è fissata sul lastricato della banchina orientale.
Perché nessuno dimentichi. Mai.