“La litania più ricorrente dei nostri tempi molli e opachi, pancia bassa nella sinusoide dell’alternarsi dell’umana vicenda, è “non ci sono più valori”.
Incontriamo questa litania anche nella variante nostalgico/rinunciataria “non ci sono più ideali per cui battersi”. Sfruttamento, violenza, guerra, morti, violazioni dei diritti, sopraffazione dei deboli, delle donne e dei bambini, sottomissione dell’uomo e dei suoi valori alle logiche del denaro e del mercato (le uniche ideologie che godono di immunità ideologica) sono sotto i nostri occhi, ma dato che le glorie dello scontro frontale non sono più in offerta speciale, i neurorecettori della sensibilità all’altrui sofferenza paiono essersi atrofizzati.
Ma non era la libertà dell’uomo, la sua irrinunciabile santità, la posta del contendere? Ε dunque i termini della questione non rimangono in qualche misura radicalmente gli stessi pur nel mutare delle stagioni e delle intemperie?
Alcuni lo sanno anche oggi, conoscono la massima “prius vivere, deinde filosofari”, si rimboccano le maniche e fanno quello che c’è da fare.
Il chirurgo di guerra Gino Strada, specializzato in prestigiose università (curriculum perfetto per una baronia) è uno di questi “uomini con qualità” che hanno poche idee, forse meno che poche, una: risarcire l’uomo ferito e menomato dalla violenza dei suoi simili. Α questa idea dedicano il loro sapere, il loro sentire, la loro azione che non si avvale solo delle sofisticate tecniche della chirurgia clinica, ma di quelle meno codificabili ed esplicabili della chirurgia umana per cui il dolore di un altro essere umano, è il loro dolore.
Α me che traffico come posso con l’etica dell’ebraismo, Gino Strada ricorda i principi fondamentali dell’antropologia ebraica: noi tutti discendiamo da un solo uomo perché nessuno possa dire il mio progenitore è meglio del tuo.
Ciononostante siamo tutti diversi l’uno dall’altro perché non siamo la semplice replica di un modello, ma un unicum insostituibile che per questo contiene in sé l’umanità tutta. Dunque, chi salva una vita, salva l’intero universo e così progetta la salvezza di noi tutti.
Le mine antiuomo, paradigma di viltà, strumenti di morte proiettati nel futuro delle giovani generazioni che prediligono i bambini perché sono il futuro delle genti, vengono prodotte e disseminate da uomini “decenti” che siedono nelle assise internazionali e commerciate da insospettabili uomini d’affari con dovizia di illustrazioni sulla loro efficacia.
Questi fiori metallici dell’infinita infamia umana, lacerano, accecano, sbrindellano, cancellano parti di vita, creano voragini di antimateria, progettano il non-uomo. Ma è proprio in quelle assenze di carne, di vita, di luce, che l’umanità esprime la sua intimità più lancinante.
In quei luoghi umani violati e negati, i Gino Strada costruiscono l’umanità possibile del futuro, l’unica possibile. Ι veri valori etici possono nascere solo da una prassi di vita che si misura con i limiti, le passioni, le paure, le ritrosie, l’esasperazione del procedere alla ricerca di sé, nell’altro da sé.
Questo ci racconta Gino nel suo libro, con lo stile necessario di chi racconta ciò che fa e ciò che fa è insieme così anomalo eppure così universale, folle e insieme normale, paradigma esemplare di quello che ogni essere umano dovrebbe ricercare in sé.
Ε il racconto sgorga con asciutta sobrietà e commuove perché è il racconto di uno che sa quel che fa perché fa quello che deve. Leggere le pagine di questo rude chirurgo di poche parole e molti fatti, fa bene alle funzioni sopite di chi si affida alle litanie.
Ι tempi delle palingenesi rivoluzionarie assolute e totalizzanti sono finiti, ma ci sono luoghi di rivoluzione nei posti più impensati: uno di questi luoghi è sicuramente il bisturi di Gino Strada.”
Moni Ovadia, “Prefazione al libro di Gino Strada Pappagalli verdi“, 1999