“Il dovere dell’adulto è quello di rispettare sempre nel bambino, il bambino. Di non metterlo mai,
bruscamente e senza preparazione, di fronte ad emozioni e scoperte che potrebbero urtare il
delicato sistema del suo equilibrio, di non abusare mai della nostra superiorità di adulti (men che
meno di padri e insegnanti) per imporgli le nostre idee, i nostri atteggiamenti, le nostre passioni.
In Italia è stato applicato il metodo MCE (Movimento Cooperazione Educativa), dalla scuola non
potrei chiedere di più. Mi basta che essa possa insegnare al bambino a guardare il mondo senza
pregiudizi e senza paura.
Ma a me come padre di famiglia, occorre altro.
(…) Se siamo noi a cedere, ad abbandonare una vita «senza passione», a non provare rabbia per
come va il mondo, a guarire dalla nausea, a rinunciare all’azione, possiamo ottenere due risultati,
per noi ugualmente negativi: nel caso ‘migliore’ (per loro) saranno i figli a rivoltarsi contro di noi,
a fare di noi la loro «rivoluzione culturale», nel caso ‘peggiore’, alleveremo dei piccoli idioti
carrieristi , bravi tecnici, magari, ma odiosi benestanti.
(…) Per passione intendo la capacità di resistenza e di rivolta, l’intransigenza nel rifiuto
dell’ipocrisia comunque mascherata; la volontà di azione e di dedizione; il coraggio di «sognare in
grande», la coscienza del dovere che abbiamo, come uomini, di cambiare il mondo in meglio,
senza accontentarsi di mediocri cambiamenti di scena che lasciano tutto come prima; il coraggio
di dire no quando è necessario, anche se dire di sì è più comodo, di non “fare come gli altri”,
anche se per questo bisogna pagare un prezzo.
(…) Ora, io so bene cosa vogliamo per i nostri figli.(…) Pensiamo che un’infanzia serena, sicura,
protetta, avrà benefici su tutta la loro vita ulteriore, e abbiamo ogni ragione per pensarlo. Anche
per questo, talvolta, esitiamo a metterli davanti a ciò che può farli soffrire. «Avranno già troppe
occasioni di soffrire – pensiamo, – risparmiamoli fin che è possibile».
I nostri vecchi pensavano, al contrario, che noi dovessimo «abituarci a soffrire». (…) Credevano
necessario allenarci alla fatica fisica, prepararci a subire torti, corazzarci contro l’ingiustizia ,
toglierci le illusioni più generose. Questo metodo di pensare era certamente sbagliato.
(…) L’educazione alla rassegnazione non ha più senso, nemmeno i rassegnati.
Ma non tutto di quell’atteggiamento era sbagliato. «Abituare a soffrire» a quel modo, no non serve
a nulla; rimane la necessità a «soffrire più in alto», per rubare le parole di Benedetto Croce.
Di educarli quindi ad avere la «passione» della verità. Vederli felici non ci può bastare.
Dobbiamo vederli «appassionati» a ciò che fanno, a ciò che dicono, a ciò che vedono.
Quando è il momento di renderli non solo testimoni attenti ma partecipi alle cose di questo mondo?
Con quali atteggiamenti di fondo?
Ho ricopiato una volta, e non so dove, e non ricordo nemmeno il nome del loro autore, certi versi
che dicevano:
“So che soffrirai
perché non vuoi
che ci sia chi soffre;
So che piangerai,
perché non vuoi
far piangere;
Ma non posso farci niente;
se non insegnarti a soffrire
senza cessar di capire,
se non insegnarti a piangere
a ciglio asciutto”
Tali versi si adattano bene al discorso che sto facendo, senza alcuna pretesa se non quella
comunque dei dubbi.
(…) Credo nell’efficacia educativa non già delle lacrime, quanto delle emozioni, commozioni che
possono nascere dall’incontro con certi aspetti della realtà: con l’operaio che sciopera, per
esempio, piuttosto che con il mendicante che tende la mano; con problemi che sollecitano una
riflessione lunga e faticosa, invece che scenette da «buona azione» quotidiana.
(…) Io non dico di portare i ragazzi agli scioperi. Non dico nemmeno che si debba fare “politica”
con loro. Dico, però che oggi più di prima, oggi più che mai, i nostri figli hanno bisogno di
esperienze che destano in loro quello che ho chiamato «passione»: esperienze non discorsetti,
perché le parole non possono sostituire l’esperienza (ad es. l’esperienze dell’alluvione a Firenze).
(…) I ragazzi hanno bisogno di quelle che una volta si chiamavano «le cose più grandi di loro».
Hanno bisogno di prendere parte a «cose vere». Hanno bisogno di concepire ideali ad amarli
sopra ogni cosa. Ciò che facciamo per incoraggiarli in questa direzione è giusto: ciò che facciamo
per trattenerli è sbagliato.
Dai figli, una volta cresciuti possiamo ricevere due sorta di rimproveri. Potranno rimproverarci di
non averli aiutati «a far fortuna», e sarebbe triste per loro e per noi, perché significherebbe che
abbiamo educato dei cinici egoisti. Ma sarebbe molto più grave se ci potessero rimproverare di
aver dato alla loro vita un orizzonte moralmente meschino.
Gianni Rodari, da “Educazione e Passione”, “Il Giornale dei Genitori”, n.11/12, Novembre/Dicembre 1966