“La Mecca è il nome musulmano di Certezza. Il pellegrino è, per certi aspetti, un nomade che compie un viaggio, trova la Certezza e smette di cercare. Il vero nomade non va alla Mecca perché egli è il tempio di se stesso. Chi ha scelto la strada del nomadismo porta avanti un percorso dove tutto è mobile e gratuito, lungo questo percorso si impara a camminare e a divenire lo spirito del vagabondaggio. La mente del nomade è vagabonda come lo è il suo pensiero. Per il nomade, il pensiero esiste solo quando è in marcia o quando canta; tutto ciò che è nomade deve essere cantato o in cammino per essere veramente tale. Dio non esiste come figura sedentaria. Dio è lo spirito e quindi è nomade. E il nomade lo incontra nella sua ricerca di perfezione, e in questa ricerca dello spirito il nomade compie azioni, trova organismi, forme, compie atti e gesti che gli permettono la fusione con lo spirito.
E’ qui che il nomade incontra la via del sufismo che è innanzi tutto l’eliminazione di qualsiasi intermediario fra l’individuo e Dio. Il fine è agire come un’estensione di Dio. Essere Sufi significa praticare l’alterità e attuare i quattro punti fondamentali che sono:
Primo: sapere che esiste una cosa
Secondo: vedere una cosa
Terzo: essere in una cosa
Quarto: diventare la cosa
Essere Sufi è anche servire ed aiutare gli altri, e non semplicemente star seduto a pregare. Essere un vero Sufi vuol dire rialzare chi è caduto, asciugare le lacrime di chi soffre, accarezzare l’orfano e chi non ha amici. Ma significa anche combattere le origini di questo male.”
Mahmoudan Hawad, poeta tuareg