Kiev 1942, la partita della morte
La drammaticità del secondo conflitto bellico mondiale non aveva acuito la passione calcistica dei suoi tifosi. Anche se tra i numerosi morti ed i disastri che la Grande Guerra si trascinò dietro, parlare di calcio risultava effettivamente difficile, o per lo più impraticabile. Ad ogni modo, su uno dei fronti più cruenti nel teatro della seconda guerra mondiale, quello sovietico, un tifoso, innamorato della sua squadra, la “Dinamo Kiev”, scrisse una delle storie più belle, anche se allo stesso tempo tristi, della storia del calcio.
La regione ucraina, infatti, fu soggetta all’occupazione nazista già dal settembre del 1941, e nonostante che la rigidità dell’inverno russo avesse rallentato l’avanzata delle truppe del Fuhrer verso Mosca, i tedeschi si erano insediati in maniera alquanto massiccia nel territorio sovietico. Il signor Josif Kordik, di professione panettiere, anche sotto la dominazione nazista riuscì a trovare lo spunto e la forza anche in una situazione politica di assoluta sottomissione, per cercare di ricostruire e ridare forza alla passione calcistica del popolo sovietico. La casualità, infatti, lo portò un giorno a conoscere Trusevich, il mitico portiere della sua Dinamo, e a programmare la rinascita di una squadra di calcio a Kiev. Con l’aiuto dell’estremo difensore, suo idolo, Kordik riuscì a radunare otto calciatori della Dinamo Kiev e tre dell’altra squadra cittadina della Lokomotiv. E pertanto andò a fondare il FC Start Kiev, con l’intento di organizzare subito incontri di calcio, anche per risollevare, almeno in occasione delle partite, il suo popolo dalle atrocità della dominazione tedesca. Anzi furono proprio i tedeschi a prendere la decisione di organizzare anche un campionato di calcio, tra occupati ed occupanti, a cui saranno iscritte ben sei squadre. Il campionato di calcio a Kiev fu concepito per rendere ovviamente meno amara la dominazione del popolo sovietico per mano dei nazisti, anche se gli stessi uomini agli ordini del Fuhrer attraverso il calcio volevano ribadire la loro superiorità di paese dominatore. La dominazione dei tedeschi si rivelò molto forte ed opprimente. Del resto i tedeschi avevano improvvisamente assaltato i confini sovietici, trasgredendo quelli che erano i patti di non belligeranza siglati dall’accordo Ribbentropp-Molotov, in quella che poi passò alla storia come l’”Operazione Barbarossa”.
Lo Start di Kiev organizzò bene le proprie forze fisiche e tecniche, e sostenuta anche dal tifo degli ucraini e da un enorme spirito di rivalsa sociale e politica, iniziò a collezionare vittorie già dalla sua prima uscita, battendo per 7-2 i collaborazionisti della Rukh. Mentre i magiari dell’Msg Wal riuscirono a subire delle sconfitte più contenute nel punteggio per 5-1 e 3-2. Lo Start guadagnò immediatamente un’enorme popolarità a Kiev e dintorni, rappresentando un motivo d’orgoglio importante per il popolo sovietico, ed ucraino in particolare. I tedeschi pensarono, però, di mettere fine alla sfuriata agonistica degli ucraini e convocarono a Kiev la squadra della Flakelf, che includeva i migliori elementi calcistici della Luftwaffe, la portentosa aviazione tedesca. Ovviamente gli atleti teutonici si presentavano in condizioni fisiche decisamente migliori, ben nutriti ed allenati ed equipaggiati a dovere, in confronto ai calciatori dello Start, che vivevano in condizioni di prigionia, maltrattati e malnutriti. Il 6 agosto del 1942, comunque, lo Start inflisse un sonoro 5-1 alla Flakelf, aumentando ancora di più la sua popolarità. I tedeschi rimasero molto delusi dall’entità della sconfitta, invece i calciatori ucraini continuarono a guadagnare dei grandissimi consensi. Tutta la popolazione si strinse intorno alla loro squadra, fornendo i calciatori dei beni necessari e di quanto occorreva. Addirittura anche i soldati ungheresi e rumeni, alleati dei tedeschi, portarono il loro aiuto. Per il 9 agosto i tedeschi fissarono il giorno della loro grande rivincita, che si sarebbe giocata allo Stadio Zenit di Kiev. Nei momenti che precedettero l’inizio della partita, i calciatori dello Start ricevettero la visita di alcuni ufficiali delle SS che ricordarono loro di salutare il pubblico al loro ingresso in campo con il saluto nazista e di “onorare” il qualche modo la partita, una maniera velata per cercare di convincerli ad addomesticare il risultato finale in favore dei tedeschi. Tuttavia, i coraggiosi calciatori dello Start non cedettero alle minacce letali del nemico e scesero in campo con la loro solita concentrazione. Effettivamente, complice un arbitraggio per così dire nettamente a favore dei tedeschi, la Flakelf passò in vantaggio grazie ad un gol realizzato in nettissimo fuorigioco. Nel secondo tempo, però, lo Start prese in mano le redini del gioco e della partita e capovolse il punteggio fino al 3-1, con rete di Kuzmenko e doppietta dello scatenato Goncharenko. La Flakelf riuscì a rimontare fino al 3-3, ma nel finale di gara subì una pesante lezione, soccombendo con un netto 5-3 che non ammetteva repliche. Anzi proprio una rete appositamente non segnata mandò i tedeschi su tutte le furie. Lo scatenato Klimenko, infatti, si produsse in una spettacolare azione personale, scartando buona parte dei giocatori avversari, compreso il portiere. Poi, arrivato quasi sulla linea della porta oramai sguarnita, si girò su se stesso e rispedì il pallone verso il centrocampo, evitando provocatoriamente di fare gol. Il pubblico ucraino ovviamente osannò quella squadra che non aveva avuto paura, salvando il proprio onore e quello del loro popolo, pur giocando sotto la minaccia del nemico.
Quella vendetta che i tedeschi non erano riusciti a prendersi sul terreno di gioco venne attuata qualche settimana più tardi ad opera degli agenti della Gestapo. Gli ufficiali nazisti si presentarono, infatti, nella fabbrica dove lavoravano i calciatori dello Start e ne prelevarono ben otto, tutti quelli che appartenevano alla Dinamo Kiev. Vennero tutti torturati dai tedeschi per farsi dire dove si trovavano gli altri componenti di quella squadra, ma nessuno parlò. Il terzino Nikolaj Korotkikh, che lavorava anche nella polizia sovietica, non sopravvisse alle torture, mentre gli altri prigionieri furono internati nel campo di Seritz, comandato dal terribile Paul Von Radomski. In seguito ad un sanguinoso attacco dei partigiani, agli inizi del 1943 Von Radomski ordinò la fucilazione di tanti prigionieri ucraini. Dei componenti della squadra dello Start se ne salvarono soltanto in tre: Goncharenko, Tyutchev e Sirydovski, che ebbero modo a loro volta di andare a rinforzare le linee dell’Armata Rossa.
La storia della squadra dello Start di Kiev sarebbe rimasta a lungo nella leggenda dello sport sovietico, tramandata addirittura dai racconti di Yuri Kutsnetzov e dalla poesia di Evtushenko. Anche se a rendere maggiormente omaggio alla storia della cosiddetta “partita della morte” ci avrebbe pensato soprattutto il cinema. Infatti, nel 1961 il regista ungherese Zoltan Fabri ne trasse un film dal titolo “Due tempi all’inferno”,
imitato un anno più tardi dal russo Evgenj Karelov, che invece rappresentò la storia in un lungometraggio dal titolo “Il terzo tempo”. Tuttavia, la rappresentazione più famosa e più riuscita rimase quella del regista inglese John Houston, che nel 1981 produsse il film dal titolo “Fuga per la vittoria”, che guadagnò grandissima popolarità anche per il cast degli attori, quasi tutti provenienti dal mondo del calcio. Houston, infatti, riuscì ad assoldare per la riuscitissima pellicola il brasiliano tre volte Campione del Mondo Pelè, il norvegese Hallvar Thoresen, gli inglesi Bobby Moore, capitano del West Ham e della nazionale inglese, Summerbee, Sivell, Turner, Osman ed O’Callaghan, il baffuto scozzese John Wark, che era stato prolifico centravanti dell’Ipswich Town e del Liverpool, l’olandese Co Prins, l’argentino Osvaldo Ardiles, Campione del Mondo nel 1978, il polacco Kazimierz Deyna, il belga Paul Van Himst e il danese Soren Linsted. Ai nomi di questi calciatori andarono ad aggiungersi anche volti noti del mondo del cinema come Sylvester Stallone, Max Von Sydow, Michael Caine, Daniel Massay e Tim Pigott-Smith. La storia del film ripercorreva a grandi linee quella della partita di Kiev, anche se Houston pensò bene in questo caso, anche per ragione per così dire cinematografiche, di cambiarne il finale. Al posto della fucilazione di quasi tutti i giocatori che idealmente componevano lo Start di Kiev, Houston scelse di far evadere dal campo di prigionia gran parte dei detenuti.
La partita della morte fu una delle prime storie a livello di calcio mondiale in cui la storia e la politica avrebbero contaminato in maniera evidente lo stesso mondo del calcio, lo sport più bello ed amato del mondo, di intensi ed assolutamente non trascurabili contatti.
Vincenzo Paliotto, da “L’altro calcio. Storie di football e politica”, 2010
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Nell’immagine: La squadra che scese in campo a Kiev nel ’42