Affabulazioni

Criseide

17.08.2022

Tutto iniziò in un giorno di violenza.

Erano nove anni che gli Achei assediavano Troia: spesso avevano bisogno di viveri o animali o donne, e allora lasciavano l’assedio e andavano a procurarsi quel che volevano saccheggiando le città vicine. Quel giorno toccò a Tebe, la mia città. Ci presero tutto e se lo portarono alle loro navi.

Fra le donne che rapirono c’ero anch’io. Ero bella: quando, nel loro accampamento, i principi achei si divisero il bottino, Agamennone mi vide e mi volle per sé. Era il re dei re, e il capo di tutti gli Achei: mi portò nella sua tenda, e nel suo letto. Aveva una moglie, in patria, si chiamava Clitemnestra. Lui l’amava. Quel giorno mi vide, e mi volle per sé.

Ma alcuni giorni dopo, arrivò all’accampamento mio padre. Si chiamava Crise, era sacerdote di Apollo. Era vecchio. portò doni splendidi e chiese agli Achei, in cambio, di liberarmi. L’ho detto: era un vecchio ed era sacerdote di Apollo: tutti i principi achei, dopo averlo visto e ascoltato, si pronunciarono per accettare il riscatto e per onorare la nobile figura che era venuta a supplicarli. Solo uno, tra di loro, non si fece incantare: Agamennone. Si alzò e brutalmente si scagliò contro mio padre dicendogli: “Sparisci, vecchio, e non farti mai più vedere. Io non libererò tua figlia: invecchierò ad Argo, nella mia casa, lontano dalla sua patria, lavorando al telaio e dividendo il letto con me. Adesso vattene, se vuoi salvare la pelle“.

Mio padre, atterrito, obbedì. Se ne andò, in silenzio, e sparì dov’era la riva del mare, si sarebbe detto nel rumore del mare. Allora, d’improvviso, accadde che morte e dolore piombarono sugli Achei. Per nove giorni, molte frecce uccisero uomini e animali e i roghi dei morti brillarono senza tregua. Il decimo giorno, Achille convocò l’esercito in assemblea. Davanti a tutti disse: “Se continuerà così, per sfuggire alla morte saremo costretti a prendere le nostre navi e a tornarcene a casa. Interpelliamo un profeta, o un indovino, o un sacerdote che sappia spiegarci cosa sta accadendo e possa liberarci da questo flagello“.
Allora si alzò Calcante, che era il più famoso tra gli indovini. Sapeva le cose che furono, che sono, e che saranno. Era un uomo saggio. Disse: “Tu vuoi sapere il perché di tutto questo, Achille, e io te lo dirò. Ma tu giura che mi difenderai, perché quello che dirò potrà offendere un uomo che ha potere su tutti gli Achei e al quale tutti gli Achei obbediscono. Io rischio la mia vita: tu giurami che la difenderai“.

Achille gli rispose che non doveva avere paura, ma dire quello che sapeva. Disse: “finché io sarò vivo nessuno tra gli Achei oserà alzare la mano su di te. Nessuno. Neanche Agamennone“.

Allora l’indovino si fece coraggio e disse: “Quando abbiamo offeso quel vecchio, il dolore è caduto su di noi. Agamennone ha rifiutato il riscatto e non ha liberato la figlia di Crise: e il dolore è caduto su di noi. c’è solo un modo di scacciarlo: restituire a Crise quella fanciulla dagli occhi lucenti, prima che sia troppo tardi“. Così parlò e poi si sedette.

Allora Agamennone si alzò, l’animo colmo di nero furore e gli occhi incendiati da lampi di fuoco. Guardò con odio Calcante e disse: “Profeta di sciagure, mai che tu abbia buone profezie per me, solo il male ti piace svelare, il bene mai. E adesso vuoi privarmi di Criseide, che mi è più gradita della mia stessa sposa, Clitemnestra, e che potrebbe rivaleggiare con lei in bellezza, intelligenza e in nobiltà d’animo. Devo restituirla? Lo farò, perché voglio che l’esercito si salvi. Lo farò, se così dev’essere. Ma preparatemi subito un dono che la possa sostituire, perché non è giusto che io solo, fra gli Achei, rimanga privo di bottino. Voglio un altro dono, per me“.

Allora Achille disse: “Come possiamo trovarti un dono, Agamennone? Tutto il bottino è già stato diviso, non è lecito tornare indietro, e rifare tutto da capo. Restituisci la fanciulla e ti ripagheremo tre o quattro volte tanto quando prenderemo Ilio“.

Agamennone scosse la testa. “Non mi inganni, Achille. Tu vuoi tenerti il tuo bottino e lasciarmi senza niente. No, io restituirò quella fanciulla e poi verrò a prendermi quello che mi piacerà, e magari lo prenderò ad Aiace, o a Ulisse, e magari lo prenderò a te.
Achille lo guardò con odio: “Uomo impudente e avido”, disse, “E tu pretendi che gli Achei ti seguano in battaglia? Non son venuto qui per combattere i Troiani, non mi hanno fatto nulla, loro. Non mi hanno rubato né buoi né cavalli, non mi hanno distrutto il raccolto: montagne piene d’ombra dividono la mia terra dalla loro, e un mare fragoroso. E’ per seguire te che sono qui, uomo senza vergogna, per difendere l’onore di Menelao e il tuo. E tu, bastardo, faccia di cane, te ne freghi e minacci di togliermi il bottino per cui ho tanto penato? No, è meglio che io torni a casa, piuttosto che rimanere qui a farmi disonorare e a combattere per procurare a te tesori e ricchezze“.

Allora Agamennone rispose: “Vattene, se lo desideri, non sarò io a pregarti di rimanere. Altri si faranno onore al mio fianco. Tu non mi piaci, Achille: ami le risse, lo scontro, la guerra. Sei forte, è vero, ma questo non è merito tuo. Tornatene pure a regnare a casa tua, non mi importa nulla di te, e non ho paura della tua ira. Anzi, ti dirò questo: rimanderò indietro Criseide a suo padre, sulla mia nave, con i miei uominiMa poi verrò io stesso nella tua tenda e mi prenderò la bella Briseide, il tuo bottino, perché tu sappia chi è il più forte e perché tutti imparino ad aver paura di me“.

Disse così. E fu come se avesse colpito Achille dritto nel cuore. Tanto che il figlio di Peleo fece per sguainare la spada e certamente avrebbe ammazzato Agamennone se all’ultimo non fosse riuscito a dominare il suo furore e a fermare la mano sull’elsa argentata. Guardò Agamennone, e rabbioso gli disse: “Faccia di cane, cuore di cervo, uomo vigliacco. Io giuro su questo scettro che arriverà il giorno in cui gli Achei, tutti, mi rimpiangeranno. Quando cadranno sotto i colpi di Ettore, allora mi rimpiangeranno. E tu soffrirai per loro, ma non potrai fare nulla. Potrai solo ricordarti di quando hai offeso il più forte degli Achei e impazzire dal rimorso e dalla rabbia. Verrı quel giorno, Agamennone. Io lo giuro“.

Così disse, e scagliò a terra lo scettro ornato di borchie d’oro.

Quando l’assemblea si sciolse, Agamennone fece mettere in mare una delle sue navi, le assegnò venti uomini e ne diede il comando a Ulisse, l’astuto. Poi venne da me, mi prese per mano e mi accompagnò alla nave. “Bella Criseide“, disse. E lasciò che io tornassi al padre e alla mia terra. Rimase lì, sulla riva, a guardare la nave salpare.
Quando la vide scomparire all’orizzonte, chiamò due scudieri tra quelli a lui più fedeli e ordinò loro di andare alla tenda di Achille, di prendere per mano Briseide e di portarla via. Disse loro: “Se Achille si rifiuterà di darvela, allora ditegli che andrò io a prendermela, e per lui sarà molto peggio“. I due scudieri si chiamavano Taltıbio ed Eurıbate. Si avviarono a malincuore lungo la riva del mare e alla fine raggiunsero l’accampamento dei Mirmidoni. Trovarono Achille seduto accanto alla sua tenda e alla nave nera. Si fermarono davanti a lui e non dissero nulla, perché provavano rispetto e paura per quel re. Allora fu lui a parlare.

Avvicinatevi“, disse. “Non siete voi ad avere colpa per tutto questo, ma Agamennone. Avvicinatevi senza aver paura di me.” Poi chiamò Patroclo e gli chiese di prendere Briseide e di consegnarla ai due scudieri, perché la portassero via. “Voi mi siete testimoni“, disse guardandoli, “Agamennone è un pazzo. Non pensa a quello che accadrà, non pensa a quando ci sarı bisogno di me per difendere gli Achei e le loro navi, non gli importa nulla del passato e del futuro. Voi mi siete testimoni, quell’uomo è un pazzo.

I due scudieri si misero in cammino, risalendo il sentiero tra le navi veloci degli Achei, tirate in secca sulla spiaggia. Dietro di loro camminava Briseide. Bella, andava, triste e a malincuore.

Li vide partire, Achille. E allora si andò a sedere, da solo, in riva al mare bianco di schiuma, e scoppiò a piangere, con davanti a sé quella distesa infinita. Era il signore della guerra e il terrore di ogni Troiano. Ma scoppiò in lacrime e come un bambino si mise a invocare il nome della madre. Da lontano, lei venne, allora, e gli apparve. Si sedette accanto a lui e prese ad accarezzarlo. Sottovoce, lo chiamò per nome. “Figlio mio, perché ti ho messo al mondo, io, madre infelice? La tua vita sarà breve, se almeno tu potessi trascorrerla senza lacrime, e senza dolore…” Achille le chiese: “Puoi salvarmi, tu, madre? Puoi farlo?“. Ma la madre gli disse soltanto: “Ascoltami: rimani qui, vicino alle navi, e non andare più in battaglia. Rimani fermo nella tua ira verso gli Achei e non cedere al tuo desiderio di guerra. Io ti dico: un giorno ti offriranno doni splendidi e te ne daranno tre volte tanti, per l’offesa che hai patito“. Poi scomparve, e Achille rimase lì, solo: il suo animo era pieno d’ira per l’ingiustizia subita. E il suo cuore si struggeva di nostalgia per l’urlo della battaglia e il tumulto della guerra.

Io rividi la mia città quando la nave, comandata da Ulisse, entrò nel porto. Ammainarono le vele, poi si avvicinarono a remi all’ormeggio. Gettarono le ancore e legarono i cavi di poppa. Prima scaricarono gli animali per il sacrificio ad Apollo. Poi Ulisse mi prese per mano e mi condusse a terra. Mi guidò fino all’altare di Apollo, dove mi aspettava mio padre. Mi lasciò andare, e mio padre mi prese fra le braccia, commosso di gioia.

Ulisse e i suoi passarono la notte vicino alla loro nave. All’alba, alzarono le vele al vento e ripartirono. Vidi la nave correre leggera, con le onde che ribollivano di schiuma intorno allo scafo. La vidi scomparire all’orizzonte. Potete immaginare cosa fu, poi, la mia vita? Ogni tanto sogno di polvere, armi; ricchezze e giovani eroi. E sempre lo stesso posto, in riva al mare. c’è odore di sangue e di uomini. Io vivo lì, e il re dei re butta al vento la sua vita e la sua gente, per me: per la mia bellezza e la mia grazia. Quando mi sveglio c’è mio padre, al mio fianco. Mi accarezza e mi dice: è tutto finito, figlia mia. Dormi. E tutto finito.

Alessandro Baricco, “Criseide”, da “Omero, Iliade”, 2004

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Nell’immagine: Sebastiano Ricci, “Il ratto di Criseide”

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