“Clermont-Ferrand, 18 marzo 1941
Dovunque io muoia, in Francia o in terra straniera, e in qualsiasi momento ciò accada, lascio alla mia cara moglie o in sua mancanza ai miei figli la cura di provvedere ai miei funerali, come riterranno opportuno. Saranno funerali puramente civili: i miei cari sanno che non ne avrei voluti di diversi. Ma spero che quel giorno – nella camera ardente o al cimitero – un amico voglia dar lettura di queste poche parole:
Non ho chiesto che sulla mia tomba si recitassero le preghiere ebraiche la cui cadenza, purtuttavia, accompagnò all’ultimo riposo tanti miei antenati e il mio stesso padre. Per tutta la vita, come meglio ho potuto, ho teso a una totale sincerità d’espressione e di spirito. Ritengo la compiacenza alla menzogna, qualunque sia il pretesto che essa accampi, la peggior lebbra dell’animo. Come qualcuno tanto più grande di me, desidererei che la mia tomba, quale unico motto, portasse incise queste semplici parole: Dilexit veritatem. Per questo non potevo accettare che in quest’ora di supremi addii, quando ogni uomo ha il dovere di riassumere se stesso, si invocasse in mio nome l’ardore di una ortodossia di cui non riconosco il credo.
Ma ancora più odioso sarebbe per me se vi fosse chi, in questo atto di onestà, ravvisasse qualcosa di simile ad un vile rinnegamento. Affermo dunque se è necessario di fronte alla morte di essere nato ebreo; che mai ho pensato di negarlo, né mai ho avuto motivo di essere tentato di farlo. In un mondo assalito dalla più atroce barbarie, la generosa tradizione dei profeti ebrei, che il cristianesimo, in ciò che ebbe di più puro, riprese e diffuse, non resta forse una delle nostre migliori ragioni per vivere, credere, lottare?
Estraneo ad ogni formalismo confessionale come ad ogni presunta solidarietà razziale, per tutta la vita mi sono sentito anzitutto e semplicemente francese. Legato alla mia patria da una già lunga tradizione famigliare, nutrito della sua eredità spirituale e della sua storia, incapace, in verità, di concepirne un’altra in cui respirare a pieni polmoni, l’ho amata molto e servita con tutte le mie forze. Mai il mio essere ebreo mi è parso di ostacolo a questi sentimenti. Nel corso di due guerre, non mi è stato dato di morire per la Francia. Almeno, che io possa rendere a me stesso questa testimonianza: muoio, come ho vissuto, da buon francese.”
Marc Bloch, da “La strana disfatta. Testimonianza del 1940”, 1946