La cosa brutta delle malattie infettive è che muori senza carezze. Sei curato da persone mascherate. E una volta morto nessuno ti posa la mano sulle mani o sulla fronte.
Chi sta morendo in questi giorni col coronavirus in qualche modo perde la vita senza la solennità della morte. Nessuno ci dice i nomi di chi è morto. Ci dicono solo che sono vecchi e che avevano altre malattie. Ma noi non siamo bambini da consolare. La situazione è seria e la questione non è ripartire, ma avere cura del dolore, di ogni cittadino che sta nel dolore.
La vita di una nazione non è una corsa automobilistica. Non siamo fermi ai box per cambiare le gomme il più in fretta possibile. Dobbiamo chiamare a raccolta le energie migliori del paese. Non ce la caviamo con le ordinanze. Ci vuole un grande moto di calore. Ognuno deve mettere a disposizione qualcosa di suo per la comunità nazionale. La politica deve essere attenta all’economia, ma bisogna parlare con la lingua della vita e ora il nostro alfabeto comincia dalla lettera P, comincia dalla paura. È brutto morire sapendo che tua moglie non potrà ricevere l’abbraccio dei tuoi amici. È brutto sapere che un tuo amico sta male e non puoi fargli visita.
Ora non si tratta di raggelarci, ma di portare calore anche senza la vicinanza fisica. E questo con la Rete si può fare. Difendiamo i nostri vecchi, costruiamo barricate amorose per difenderli dal male che avanza e che non è solo il virus, è il male di un mondo che pensava di aver dato le spalle alla fragilità e al mistero. Un mondo scemo e scontento che ora è chiamato a tornare mirabile e attento. Dipende veramente da ognuno di noi. Ognuno di noi è un piccolo ospedale che può ricoverare e accudire la malattia che ci circonda.
Franco Arminio, “Le malattie infettive e il mondo che vorremmo”, da “Il Fatto Quotidiano”, 8 marzo 2020
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Immagine tratta dalla pagina Twitter dell’Ospedale Bambino Gesù