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Khorakhané (A forza di essere vento)

22.08.2022
Il cuore rallenta la testa camminaIn quel pozzo di piscio e cementoA quel campo strappato dal vento
A forza di essere vento
Porto il nome di tutti i battesimiOgni nome il sigillo di un lasciapassarePer un guado una terra una nuvola un cantoUn diamante nascosto nel pane
Per un solo dolcissimo umore del sanguePer la stessa ragione del viaggio viaggiareIl cuore rallenta e la testa camminaIn un buio di giostre in disuso
Qualche rom si è fermato italianoCome un rame a imbrunire su un muroSaper leggere il libro del mondoCon parole cangianti e nessuna scrittura
Nei sentieri costretti in un palmo di manoI segreti che fanno pauraFinché un uomo ti incontra e non si riconosceE ogni terra si accende e si arrende la pace
I figli cadevano dal calendarioJugoslavia Polonia UngheriaI soldati prendevano tuttiE tutti buttavano via
E poi Mirka a San Giorgio di maggioTra le fiamme dei fiori a ridere a bereE un sollievo di lacrime a invadere gli occhiE dagli occhi cadere
Ora alzatevi spose bambineChe è venuto il tempo di andareCon le vene celesti dei polsiAnche oggi si va a caritare
E se questo vuol dire rubareQuesto filo di pane tra miseria e sfortunaAllo specchio di questa kampinaAi miei occhi limpidi come un addio
Lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in boccaIl punto di vista di Dio
Cvava sero po tuteI keravaJek sano ot moriI taha jek jak kon kasta
Poserò la testa sulla tua spallaE faròUn sogno di mareE domani un fuoco di legna
Vasu ti baro neboAvi kerKon ovla so mutaviaKon ovla
Perché l’aria azzurraDiventi casaChi sarà a raccontareChi sarà
Ovla kon ascoviMe gava palan ladiMe gavaPalan bura ot croiuti
Sarà chi rimaneIo seguirò questo migrareSeguiròQuesta corrente di ali”
Ivano Fossati – Fabrizio De André, “Khorakhané (A forza di essere vento)”, dall’album di Fabrizio De André “Anime salve”, 1996
(I Khorakhanè, il cui nome significa “Portatori del Corano”, sono rom musulmani originari del Kosovo e la canzone intende appunto avvicinare il pubblico alla storia di una gente che, nel corso del tempo, ha subito persecuzioni di ogni genere.  «Sarebbe un popolo da insignire con il Nobel per la pace per il solo fatto di girare per il mondo senza armi da oltre 2000 anni – ebbe a dire De André nel corso del concerto tenuto al Teatro Brancaccio di Roma nel 1998.  L’ultima strofa, cantata da Dori Ghezzi nella versione in studio e da Luvi De André nelle esibizioni dal vivo, è una poesia in lingua romanì del poeta rom Giorgio Bezzecchi, un amico di Fabrizio De André)

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