Voi no, ma io sono vecchia abbastanza per ricordarmi Praga, nel 1968.
Era il 21 di agosto, mi pare.
Io ero molto molto giovane, un’adolescente piena di responsabilità mondiali. Tonta e appassionata. Fiduciosa presuntuosa etica e sciocchina. Ricordo che quei carrarmati a Praga mi fecero male. Possibile che i comunisti, quelli che avevano fatto la rivoluzione, fossero diventati così cattivi? Mi cadde definitivamente il salame dagli occhi.
Soffrivo. Allora non era proprio possibile essere giusti, sognare uguaglianza, distribuire a ciascuno secondo le sue necessità, chiedere a ciascuno quello che poteva dare? Che male aveva fatto la Primavera di Praga? Perché soffocarla nel sangue?
Quando Jan Palach si diede fuoco provai un dolore che andava al di là della compassione. Immolarsi. Era questa l’unica militanza possibile?
La storia si ripete.
Ma su Putin, già prima, non mi facevo nessuna illusione.
Il salame ti cade dagli occhi soltanto una volta.
Resta il fatto che la guerra mi risulta intollerabile, mi ritraggo, come un animale domestico quando scoppiano i tuoni o i fuochi d’artificio e lui non sa, davvero non sa, da dove proviene quel rumore insensato. So dare i torti (chi invade) ma non so dare le ragioni.
Riesco a pensare soltanto in termini di vita quotidiana: gli scaffali dei supermercati vuoti, i bambini a casa da scuola, la casa che presto non ci sarà più, bombardata o evacuata, l’affollarsi nel buio della metropolitana. Dove cambierà il pannolino a quell’essere piccolissimo quella giovane donna seduta per terra? E gli ospedali, come si sentirà chi è ricoverato, in quel momento di massima debolezza che è la malattia, come sarà l’attesa che qualcuno ripari i guasti del tempo sul tuo corpo? Quando c’è la guerra c’è soltanto la guerra. Non esiste altro. Soltanto schivare la morte, trovare riparo, riparare i tuoi figli.
La vita, quando è messa a repentaglio, diventa minima, composta di cibo e acqua, un po’ di calore. Le banche chiudono, gli alberghi chiudono non c’è più carburante ai distributori, chi arriva dopo, chi è rimasto senza, guarda con invidia chi si è rifornito. L’istinto di sopravvivenza ti porta all’egoismo. Anche per questo, la guerra è mostruosa.
E’ una gara truccata, dove anche chi vince è uno sconfitto.
Ma che cosa gliene frega agli oligarchi narcisi, del pianto che si alza dalle strade, fra la gente comune, come me, come noi? Che cosa gliene frega del digiuno del papa? Del dolore. Della paura. Delle borse che chiudono male, che registrano l’ingovernabilità del mondo…
Niente, non gliene frega niente.
Cuore di pietra e testa vuota, la ragione annientata dall’ossessione, il calcolo come sola religione. Avanti così, compagno Putin, ma non nominare Lenin, che me lo sporchi.
Lidia Ravera