“Ma le cose, dentro di noi, sono sempre maledettamente complicate; e tanto più inganniamo noi stessi, o tentiamo, quanto più evidente e immediato si prospetta il disinganno.”
“Eppure…La verità è che tante cose in noi, che crediamo morte, stanno come in una valle del sonno: non amena, non ariostesca. E sul loro sonno la ragione deve sempre vigilare.”
“Ma come mi spaventa l’essere prete, di più mi spaventerebbe l’essere giudice… le parole di Cristo sono tremende: “Non giudicate, affinché non siate giudicati”. Non proibisce il giudicare, ma lo pone in diretto e inevitabile rapporto con l’essere giudicati. Leva prima la trave dal tuo occhio, e allora avrai la vista capace per togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello. E non la trave nell’occhio di chi giudica, la pagliuzza nell’occhio di chi è giudicato. Non avrà voluto intendere che solo i peggiori giudicano, sceglie di giudicare, possono giudicare, in forza delle loro colpe, della loro colpa, essersene confessati e liberati?”
“Ministri, deputati, professori, artisti, finanzieri, industriali, quella che si suole chiama classe dirigente. E che cosa dirigeva in concreto, effettivamente? Una ragnatela nel vuoto, la propria labile ragnatela. Anche se di fili d’oro.
“Ecco che lei torna alle parole che decidono, alle parole che dividono: migliore, peggiore; giusto, ingiusto; bianco, nero. E tutto invece non è che una caduta, una lunga caduta, come nei sogni.”
«A somiglianza di una celebre definizione che fa dell’universo kantiano una catena di causalità sospesa a un atto di libertà, si potrebbe» dice il maggior critico italiano dei nostri anni «riassumere l’universo pirandelliano come sin diuturno servaggio in un mondo senza musica, sospeso ad una infinita possibilità musicale: all’intatta e appagata musica dell’ uomo solo».
Credevo di aver ripercorso, à rebours, tutta una catena di causalità; e di essere riapprodato, uomo solo, all’infinita possibilità musicale di certi momenti dell’infanzia, dell’adolescenza: quando nell’estate, in campagna, lungamente mi appartavo in un lungo, che mi fingevo remoto e inaccessibile, di alberi d’acqua; e tutta la vita, il breve passato e il lunghissimo avvenire, musicalmente si fondevano, e infinitamente, alla libertà del presente. E per tante ragioni, non ultima quella di esser nato e per anni vissuto in luoghi pirandelliani, tra personaggi pirandelliani, con traumi pirandelliani (al punto che tra le pagine dello scrittore e la vita che avevo vissuta fin oltre la giovinezza non c‘era più scarto, e nella memoria e nei sentimenti); per tante ragioni, dunque, rivolgevo nella mente, sempre più precisa (tanto che la trascrivo ora senza controllare), la frase del critico: appunto come frase o tema dell’infinita possibilità musicale di cui disponevo. O, almeno, di cui mi illudevo di disporre.”
“Nessuno merita di essere lodato per la sua bontà se non ha la forza di essere cattivo.”
Leonardo Sciascia, da “Todo modo”, 1974
*****
Nell’immagine: Foto digitale di Justin Peters