I fantasmi siamo noi, ridotti così dalla società che ci vuole ambigui,
ci vuole lacerati, insieme bugiardi e sinceri, generosi e vili.”
Euardo De Filippo, da “Questi fantasmi”, 1945
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Ricordi
“Non apro i vecchi cassetti
Né la memoria del telefonino
Custodiscono fantasmi.
Sono quieti, impotenti
Per nulla affatto esigenti
Ma non accennano ad andarsene.
Hanno precisi contorni, sono anzi
Un solo bruno contorno,
Come il guscio secco
Di un frutto svuotato.
Ognuno di noi porta con sé
Un cimitero abbandonato.”
Mario Andrea Rigoni
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Fantasmi
Io mirai l’onda che rompeasi al lido;
E di veder mi parve
Rasentar leggermente il flutto infido
Una schiera di larve.
*
Eran vestite d’alighe spioventi
Avean sciolti i capelli,
Disfatti i volti, occhi stravolti o spenti.
Sotto ai lor piè l’acqua turbata avea
Balenii di coltelli.
Da quelle labbra scolorate uscìa
Bava e un gemito rôco.
Misto al rombo del mare esso venìa
A parlarmi nel core. — Sui ginocchi
Io caddi a poco a poco.
Eran fracidi corpi d’annegati;
Suicïdi gettati
Da volontà demente ai flutti e ai fati;
Vittime con un ferro in mezzo al petto,
Naufraghi scarmigliati.
Mi disser: “Che si fa sopra la terra?„
Io risposi: “Si piange.
Ipocrisia trionfa, odio si sferra,
Oh, più felici voi su gl’irti scogli
Ove l’acqua si frange!…„
Mi disser: “Scendi ai placidi riposi
Fra l’alghe serpentine.
Nascondigli d’amor sono i marosi
Inesplorati, e sol nel nulla è pace.
Scendi; — qui v’è la fine.„
*
…. Ed io mirai su le verdastre larve
Il tramonto morire;
Ne la penombra il queto mar mi parve
Un letto per dormire.”
Ada Negri, “Fantasmi”, da “Fatalità”, 1895
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Fantasmi
“Non c’è bisogno di essere una stanza ,
non c’è bisogno di essere una casa,
per sentirsi infestati dai fantasmi.
La mente ha corridoi più vasti di uno spazio materiale.
È assai più sicuro un incontro a mezzanotte
con un fantasma esterno,
piuttosto che affrontare dentro di sé
quella presenza ben più raggelante .
È assai più sicuro galoppare
tra le minacciose pietre tombali di una abbazia,
piuttosto che incontrare inermi ,
in solitudine, il proprio io…”
Emily Dickinson
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Theodore Chassériau, “Il fantasma di Banquo da Macbeth”
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Ghosts
“Il signor Brown ha un aspetto molto migliore
di quando era all’obitorio.
Mi ha portato una grossa carpa
in un giornale macchiato di sangue.
Che strana visita.
Non penso a lui da anni.
Ci sono con lui anche Linda e Sue.
Due evanescenti ricordi, pallidi ed eleganti,
che si tengono per mano.
Anche il loro rossetto è fresco
per quante prove scientifiche si possano trovare
del contrario.
Linda vuol preparare il pesce?
Si volta e guarda in direzione
della cucina mentre Sue
continua a osservarmi dolorosamente.
Non voglio crederci
eppure sono paralizzato dalla paura.
Non so come reagire,
perciò non faccio niente.
Le finestre sono aperte. L’aria è pregna
del profumo delle magnolie.
Gocce di pioggia serale stillano
dalle foglie scure e pesanti.
Faccio un respiro profondo; chiudo gli occhi.
Cari spettri, non credo neppure
che voi siate qui, e allora com’è che
mi state facendo capire
cose che preferirei non sapere proprio adesso?
È il modo in cui guardate al di là di me
quello che deve esser già il mio fantasma,
prima di congedarvi,
all’improvviso come arrivaste,
senza che nessuno di noi rompa il silenzio.”
Charles Simic, “Ghosts”
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Utagawa (1797-1861), “Nissaka riceve il figlio dal fantasma della moglie”
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Le revenant
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quattro sillabe, il nome di un ignoto
da te mai più incontrato e senza dubbio morto.
Certamente un pittore; t’ha fatto anche la corte,
lo ammettevi, ma appena: era timido.
Se n’è parlato tra noi molti anni orsono;
poi tu
non c’eri più e ne ho scordato il nome.
Ed ecco una rivista clandestina con volti
e pitture di artisti ‘stroncati in boccio’
ai primi del 900. E c’è un suo quadro
orrendo, ma chi può dirlo? domani sarà un capodopera.
Sei stata forse la sua Clizia senza
saperlo. La notizia non mi rallegra.
Mi chiedo perché i fili di due rocchetti
si sono tanto imbrogliati; e se non sia quel fantasma
l’autentico smarrito e il suo facsimile io.”
Eugenio Montale, “Le revenant”
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Il custode dei fantasmi
“Tutti pensano che ai fantasmi non serva alcun oggetto.
Attraversano i muri fluttuando e basta evocarli
perché si aggirino ondeggiando.
Una volta che ti hanno trovato libero
non se ne andranno nemmeno se li scacci.
La loro stanza da letto è negli angoli più oscuri della memoria
“Essere qui o là”, ti verrebbe da dire
“che differenza farà mai per un fantasma
se traslocando l’ho portato con me?”
Ma i fantasmi non amano i traslochi
e la questione non è semplice quanto si pensi.
Per cominciare, i viaggi provocano in loro attacchi di panico
e hanno i propri traumi, temono l’abbandono,
soffrono di sindrome da separazione e così via.
Un fantasma può metterla così:
“Se anche lui se ne va chi guarderà la mia foto nello specchio,
chi raccoglierà la mia polvere
e il piatto di terracotta che uso di solito
sarà ancora al suo posto al mio ritorno?”
Richiedono la massima attenzione
i vecchi oggetti non funzionanti
perché appartengono ai fantasmi.
La cosa migliore è fare attenzione
alle apprensioni altrui, per quanto bizzarre,
rispettando i bisogni degli altri.
Se vuole procedere per la propria strada
l’uomo deve prendersi buona cura del fantasma
soprattutto del fantasma dell’infanzia.”
Mehmet Yashin (poeta cipriota di lingua turca)
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Johann Heinrich Füssli, “Theodore incontra nel bosco lo spettro del suo antenato Guido Cavalcanti”, 1783 circa
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Un senso del luogo
“Cerco un luogo in cui gli spiriti chiamino ancora
con insistenza – non colline senz’eco,
igienizzate, non pareti strofinate
con cura, neutralizzate – ma dove memoria
soltanto, la loro bizzarra presenza,
dia senso agli alberi su cui giocavano loro.
Cerco un luogo in cui non ci siano
uomini fatti da sé; perché il fare laggiù
non avrebbe senso, solo l’essere,
la quieta osservanza di regole
da loro incarnate, da loro enunciate,
conferisca significato, e ancora
dove la gravità sia mero capriccio.
Cerco un luogo in cui gli spiriti aspettino ancora
impazienti accanto alle pietre cadute –
senza turbamento, però, senza oltraggio per
le loro case profanate, né senso del dovere
redimere quell’amarissima sconfitta.
Cerco un luogo in cui gli spiriti sorridano ancora
indulgenti al cadere dei bimbi,
con gli avambracci ghiacciati, dentro lo stagno;
o sguscino fuori da dietro le pietre
per osservarci mentre, imprudenti,
deragliamo dal corso che ci hanno indicato.
Cerco un luogo in cui possa riprendere
fiato per un istante soltanto, fermarmi,
ascoltare, guardare, vedere, sentire, capire:
quest’ardente momento, per quanto breve
possa essere, è tutto ciò che resta
per trovare quel luogo dove gli spiriti chiamano ancora.”