Cassacco, anno zero
Ci sono dei libri che prendono forma dalle circostanze. Caso, necessità, sfinimento, pigrizia o destino, sono alcune delle forze che ne sollevano i rilievi, scavano profonde valli, dispongono in alto le creste e in basso le foci, i profili delle coste. Però, non posso dire che sto scrivendo delle pagine per caso, così come non posso dire che le sto scrivendo per destino. Niente caso né destino, quindi, e nemmeno pigrizia: anche se nel sottosuolo se ne avvertono le fusa, è un modo faticoso per ravvivare i tempi lunghi del letto. Ma posso scrivere una cosa, sì: c’è come un’intercapedine di luce a separare la cinciallegra che ho appena visto spiccarsi dal ramo all’aria composta di questo giorno e la parola fresca di grafite che scrivo adesso: cinciallegra. Quell’intercapedine, forse, quell’inoltrarsi pieno di mistero tra le parole e le cose che sottolinea con ogni evidenza la nostra separatezza dal mondo, ma accende i nostri desideri, è il motore per il quale queste pagine si stanno riempiendo. Un polo magnetico come il buco di una serratura, cui si accosta l’occhio con curiosità e tremore, logorati nella tensione. Sì. Sto scrivendo per sfinimento. […]
Scrivere è registrare, Nel senso di dare un registro a qualcosa di informe e inafferrabile come può essere un pensiero. E io lo faccio su piccoli taccuini scritti a matita. Non per vezzo, per praticità. Adagiato e stanco come sono, un tablet sarebbe pesante, anche se rapido, il taccuino no. E se usassi una biro anziché la matita le parole si arresterebbero dopo poche righe: l’inchiostro non può andare in salita. Sono tornato indietro nel tempo, un bastoncino, un piccolo supporto scrittorio e la scrittura, la più grande invenzione dell’essere umano, dopo il dominio del fuoco. E, date le circostanze, mi piace immaginare questo libro privo di legge con ancora le tracce, la grana, di una voce che racconta, come quando la parola stava per farsi segno, e ci si radunava intorno al fuoco, alla luce notturna del deserto e quella voce faceva sentire le altre voci meno sole.”
Pierluigi Cappello, da “Ogni giorno, dal cielo alla notte”, in “Un prato in pendio”, 2018