“Tutti abbiamo senz’altro sperimentato quella spiacevole sensazione che ci assale alle stazioni ferroviarie. Dobbiamo accomiatarci da qualcuno. La persona cui dobbiamo dare l’addio è già salita sul treno, ma il treno non si decide a partire. Si sta lì, uno sulla piattaforma e l’altro al finestrino, e si cerca di conversare, e improvvisamente non c’è più una sola parola da dirsi.
Naturalmente dipende dal fatto che tutto d’un tratto non possiamo più sentire quello che vogliamo. La situazione ci prescrive un sentimento. E chi non ha provato quell’enorme sollievo quando il treno finalmente si muove?
Oppure i funerali. Quando qualcuno muore, o si ammala, quando sopravvengono delle delusioni, allora ci si aspetta da noi che proviamo determinati sentimenti. In tutte quelle situazioni, eccetto quelle più quotidiane e neutrali, siamo sottoposti a una pressione su come dobbiamo comportarci, su come ci dobbiamo sentire. E a voler guardare più da vicino, si scopre non di rado che sono romanzi, film o drammi visti o letti qualche volta a prescriverci quei ruoli.
Quando nella realtà ci confrontiamo con situazioni insolite (per esempio, che rivalità che ci eravamo aspettati svaniscono e si tramutano invece in un amore che ci lascia soli) la prima cosa a cui ci aggrappiamo sono proprio quei modelli sentimentali da romanzo. Ma non ci danno molto sostegno. Ci lasciano più soli di prima, e violentemente precipitiamo nella realtà.”
Lars Gustafsson, da “Morte di un apicultore”, 1989
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