“In quel buio specchio che è la coscienza, vedo un bambino pieno di rabbia e rancore, che nel tempo ho domato, quasi represso, nascosto nell’animo, questo bimbo mi parla delle sue sofferenze: nascere nella guerra e vivere nella paura di morire, arrivare in un paese straniero, imparare la lingua senza dimenticare la lingua natale, lo slavo, fa nascere una rabbia che ti colpisce dentro.
Piccole offese, disattenzioni, indifferenze e odi, forse involontari, ma che lasciano il segno nel cuore, prevalgono anche se hai un animo buono, ti fanno diventare nervoso e sentire incompreso. Alle elementari cercavo di conquistare gli amici con gli oggetti-simbolo per attirare la loro attenzione, ma mi sentivo solo e la rabbia aumentava dentro di me.
Finalmente sono arrivato alle medie, dove mi bastava parlare per essere ascoltato e spiegare per essere capito. La mia rabbia è diventata energia, ho cominciato a vedere finalmente la vera persona che ero ed ancora sono. Sono un ragazzo sentimentalmente esperto sulle sofferenze altrui, un ragazzo che vorrebbe condividere il piacere di essere se stesso, un ragazzo come gli altri con una storia diversa. Perché diverso non sta al posto di pericoloso. Un ragazzo che tiene alle sue origini e non permette neanche al suo miglior amico di offenderlo per la religione o colore della pelle.
Come mi vedono gli altri? Molti in generale come il pericolo rivolto alla società, come chi distrugge le tradizioni degli altri e toglie il lavoro altrui… È già difficile normalmente vivere in un posto che non è la tua casa, in più dove gli altri provano disprezzo per te. Molte volte sento al mercato o nelle propagande politiche una mentalità che in parole povere dice: “via l’invasore, via il diverso”, ma non esplicitamente (…).
Invece, vorrei che gli altri vedessero in me una persona diversa ma nel senso buono della parola: come una persona da cui si può imparare un pensiero diverso, vorrei vedessero una persona che ha dei diritti come delle responsabilità verso la società, vorrei che si aiutasse davvero l’emigrato senza volerlo rispedire in un paese forse in guerra, dove forse, appena arrivato verrà imprigionato o persino ucciso.
Forse, se le persone vedessero il bambino che ho visto io, capirebbero quanto si soffre, non a essere, ma a sentirsi diversi dagli altri e considerati inferiori. Se trovassimo il clima di aiuto e di amicizia anche fuori della scuola, ci potrebbe essere una speranza per chi come me pensa che non è la diversità e le cose che ci dividono in gruppi e ci diversificano, ma è importante quello che abbiamo in comune: il fatto di essere persone uguali in diritti e libertà.”