“Questa è la mia mano, posso muoverla, e in essa pulsa il mio sangue. Il sole compie ancora il suo alto arco nel cielo. E io… io, Antonius Block, gioco a scacchi con la Morte.”
Antonius Block: “Voglio parlarti il più sinceramente possibile, ma il mio cuore è vuoto. Il vuoto è uno specchio che mi guarda. Vi vedo riflessa la mia immagine e provo disgusto e paura. Per la mia indifferenza verso il prossimo mi sono isolato dalla compagnia umana. Ora vivo in un mondo di fantasmi, rinchiuso nei miei sogni e nelle mie fantasie.
Perché non posso uccidere Dio dentro di me? Perché egli continua a vivere in questo modo doloroso e umiliante anche se io lo maledico e voglio strapparmelo dal cuore? Perché, nonostante tutto, egli è un’illusoria realtà ch’io non posso scuotere da me? Mi ascolti?”
Antonius Block: Io voglio la conoscenza, non la fede, non supposizioni, la conoscenza. Voglio che Dio tenda la sua mano verso di me, si riveli e mi parli.
La Morte: “Ma egli rimane zitto.”
Antonius Block: “Lo chiamo nel buio, ma sembra come se non ci fosse nessuno.”
La Morte: “Forse non c’è nessuno.”
Antonius Block: “Allora la vita è un atroce orrore. Nessuno può vivere in vista della morte, sapendo che tutto è il nulla.
Se tutto è imperfetto in questo imperfetto mondo, l’amore invece è perfetto nella sua assoluta e squisita imperfezione.
Dall’oscurità che tutti ci attornia mi rivolgo a te, o Signore Iddio: abbi misericordia, che siamo inetti, e sgomenti, e ignari. […] Dio, tu che in qualche luogo esisti, che devi certamente esistere, abbi misericordia di noi.”
***
Cavaliere: “Io vorrei sapere. Senza fede, senza ipotesi. Voglio la certezza. Voglio che Iddio mi tenda la mano e scopra il suo volto nascosto e voglio che mi parli.”
Morte: “Il suo silenzio non ti parla?”
Cavaliere: “Lo chiamo e lo invoco e se egli non risponde io penso che non esiste.”
Morte: “Forse è così. Forse non esiste.”
Cavaliere: “Allora la vita non è che un vuoto senza fine. Nessuno può vivere sapendo di dover morire, un giorno, come cadendo nel nulla. Senza speranza.”
Morte: “Molta gente non pensa né alla morte né alla vanità delle cose.”
Perché non è possibile cogliere Dio coi propri sensi? Per quale ragione si nasconde tra mille e mille promesse e preghiere sussurrate e incomprensibili miracoli? Perché io dovrei avere fede nella fede degli altri? Che cosa sarà di coloro i quali non sono capaci né vogliono avere fede? Perché non posso uccidere Dio in me stesso? Perché continua a vivere in me sia pure in modo vergognoso e umiliante anche se io lo maledico e voglio strapparlo dal mio cuore? E perché nonostante tutto egli continua a essere uno struggente richiamo di cui non riesco a liberarmi?
Dal film “Il settimo sigillo”, diretto da Ingmar Bergman nel 1957