“A me fu recata, furtiva, una parola e il mio orecchio ne percepì il lieve sussurro.”
(Giobbe, 4:12)
Si chiama “kaze no denwa”, “il Telefono del Vento” e si trova nella cittadina giapponese di Ōtsuchi.
È una cabina telefonica come tante altre, in questo caso bianca con pannelli in vetro e naturalmente all’interno c’è un telefono. Un telefono funzionante, ben inteso. Funzionante, ma non collegato a nessun filo, a nessuna rete, a nessun ricevitore… Una volta tanto, non è connesso a niente di materiale e a farlo funzionare non serve nessuna tecnologia.
A farlo funzionare è il ricordo, la nostalgia, il rimpianto.
A farlo vivere è l’amore che ci lega alle persone che non ci sono più, ma che non ci hanno mai lasciato.
Il “telefono del vento”
fu creato nel 2010 dal designer Itaru Sasaki, dopo la perdita di una persona cara.
“Dal momento che i miei pensieri non potevano essere trasmessi su una normale linea telefonica, volli che fossero portati dal vento.”
E così costruì la cabina telefonica e la mise nel suo giardino. Ma quando, l’anno successivo, la sua terra fu devastata da uno tsunami che arrivò a mietere migliaia di vittime,
Sasaki volle aprire il suo “telefono del vento” a tutti, perché il dolore di tante donne e di tanti uomini trovasse un po’ di conforto e forse anche un senso, semmai il dolore possa mai averne…