Pensieri

Il dolore

29.11.2022
“Le persone che hanno perso qualcuno da poco hanno sul viso una certa espressione, forse riconoscibile solo da coloro che hanno visto quell’espressione sul proprio. Io l’ho notata sul mio e ora la noto sugli altri. È un’espressione di estrema vulnerabilità, nudità, trasparenza. È l’espressione di uno che dall’ambulatorio dell’oculista esce con le pupille dilatate nell’abbacinante luce del giorno, o di uno che porta gli occhiali e che improvvisamente è costretto a toglierseli. Queste persone che hanno perso qualcuno sembrano nude perché si credono invisibili. Io stessa per un certo lasso di tempo mi sentii invisibile, incorporea. Mi pareva di aver attraversato uno di quei fiumi leggendari che dividono i vivi dai morti, di essere entrata in un luogo dove potevo essere vista solo da coloro che avevano anch’essi subito una perdita recente. Per la prima volta compresi la forza dell’immagine dei fiumi, lo Stige, il Lete, e del traghettatore intabarrato con la sua pertica.”
“Fino ad allora ero stata capace solo di affliggermi, non di elaborare il lutto. Il dolore era passivo. Il dolore c’era e basta. Il lutto, che era il modo di affrontare il dolore, richiedeva che si prestasse attenzione. Fino ad allora c’erano state valide ragioni per cancellare l’attenzione che altrimenti forse avrebbe potuto essere prestata, per bandire il pensiero, per fare in modo che l’adrenalina fresca intervenisse sulla crisi del giorno.”
“Il dolore risulta essere un posto che nessuno conosce finché non ci arriva.
So perché ci sforziamo di impedire ai morti di morire: ci sforziamo di impedirglielo per tenerli con noi. So anche che, se dobbiamo continuare a vivere, viene il momento in cui dobbiamo abbandonarli, lasciarli andare, tenerceli così come sono, morti. Siamo essere umani imperfetti, consapevoli di quella mortalità anche quando la respingiamo, traditi proprio dalla nostra complessità, e così schizzati che quando piangiamo chi abbiamo perduto piangiamo anche, nel bene e nel male, noi stessi. Come eravamo. Come non siamo più. Come un giorno non saremo affatto.”
“È la sventura per cui è nato l’uomo.
Non siamo animali idealizzati.
Siamo esseri umani imperfetti, consapevoli di quella mortalità anche quando la respingiamo, traditi proprio dalla nostra complessità, e così schizzati che quando piangiamo chi abbiamo perduto piangiamo anche, nel bene e nel male, noi stessi. Come eravamo. Come non siamo più. Come un giorno non saremo affatto.”
Joan Didion, da “L’anno del pensiero magico”, 2005
*****
Nell’immagine: Giuseppe Sanmartino, “Il Cristo velato”, 1753, Cappella Sansevero di Napoli 

Lascia un commento