“Se tramanda che dentro Palazzo Tuccimei, che prima si chiamava De Cupis, una perla di Piazza Navona, ma che sfugge ai turisti perchè le guide co’ l’ombrellino non ne raccontano la storia … uno dei pronipoti di Giandomenico De Cupis (nominato cardinale nel 1517) si maritò nei primi anni del ‘600 con la giovane nobildonna Costanza Conti, timorata de Dio e bbona de core e de tutto,
ma soprattutto per le mani, graziose, delicate, bianche, morbide e sensuali. Roma allora le conosceva attraverso i gossip dell’ epoca che se facevano in “gran segreto” nei saloni degli aristocratici e in piazza, tra il popolino romano.
E racconta e chiacchiera bene oggi e “metti le pezze” domani…la storia arrivò alle orecchie di un artista” gessarolo” che dai calchi ci tirava fuori opere di scultura insigni dandogli anima di vita. Se chiamava Bastiano, un nome più che de artista da pecoraro ciociaro.
Ciaveva bottega a “li Serpenti” (Via) e pe’ questo il cartellone pubblicitario lo segnalava e la gente lo chiamava “BASTIANO A LI SERPENTI” .
Si fece coraggio e chiese il permesso a Costanza e al di lei marito di fare il calco in gesso di una sola mano da esporre in “bottega”, adagiata delicatamente sopra un cuscino di palpitante color vermiglio come quello di un cuore. Capirai! Quando gli aristocratici e il popolo seppero il fatto, si precipitarono tutti alla bottega d’arte di Bastiano pe’ vedè personalmente de persona la riproduzione magnifica de ‘sta chiacchierata mano.
Annò brutta perché un bel giorno, un frate domenicano, esoterico pe’ studio, predicatore in San Pietro in Vincoli e peggio ancora inquisitore osservatore, passò pe’ ‘li Serpenti’, si fermò davanti alla bottega di Bastiano attratto da tanto splendore condito di magia che la mano emanava e je uscì de dì: “Manus pulchra! Si sunt de his periculum esse hominem animam viventem ‘tajata, et’ de invidia quarcuno malentinzionato“. Traduzione: ” ‘Mazza che bella mano! Se fosse de persona viva starebbe in pericolo de esse’ tajata, pe’ gelosia, da quarcuno malentinzionato“
Subbito, questa semplice frase divenne gossip romano soprattutto perché detta da un Domenicano esoterico, predicatore e inquisitore osservatore.
La frase “sibillina” fu risaputa da Costanza che la impressionò de parecchio mettendole il tarlo “che prima o poi le sarebbe successo quarche cosa de brutto”, speciarmente perchè detta da ‘ n frate. Così lei, religiosa e bigotta, si convinse che avere accondisceso a farsi fare il calco della mano fosse stato un “gravissimo peccato di vanità”, da punire no da mano umana ma Divina.
Perciò, pe’ pentisse e impaurita da quella che lei pensava fosse una predizione di morte lanciata dal frate, che poraccio nun j’ era passata manco pe’ la capoccia, si imprigionò dentro il Palazzo pregando notte e giorno.
Fu tutto inutile …perchè quanno li Santi so’ distratti er destino se mette a tìgna…
Un giorno, mentre Costanza ricamava, se puncicò un dito co’ ‘n ago (a me sembra la favola della Bella Addormentata nel bosco), la ferita fece sangue cattivo e se infettò fino a diventà cancrena.
I Cerusici fecero del tutto pe’ sarvaje la mano, ma dopo qualche tempo, visto che la mano se disgregava giorno pe’ giorno e Costanza sopportava il dolore quasi in modo ascetico, decisero, dopo difficili e combattute consultazioni di “amputare la mano” , tajalla insomma.
Il dolore di aver perso la mano, ma forse più semplicemente e probabilmente la causa fu dovuta a setticemia causata
dall’amputazione, fiaccò la povera Costanza che morì qualche giorno dopo.
Quando è luna piena la mano tajata appare dietro i vetri della sua stanza al primo piano…
Il fantasma de Costanza, invece, sembra che ogni tanto appare lungo il muro der palazzo sulla strada, Via di S.Maria dell’ Anima, tutta vestita da dama secentina, che piagne piagne cercanno de ritrovà la sua mano, però, alcuni raccontano, per vivere ‘na vita che dopo essersi reclusa ner Palazzo nun ha potuto mai vivere…
Pora Costanza!…Che brutta storia!