“Il genere maschile è invidioso della potenza femminile di generare.
Si è ritagliato per sé il potere, la guerra, la politica, spazi di governo minori di fronte all’immensità di fare nascere.
Il femminile riproduce l’opera della creazione, l’uomo ne è l’appendice. Nella scrittura sacra si danno casi di gravidanze salve dal contributo maschile. Isacco, Sansone, Gesù sono celebri nascite inseminate.
A volte l’uomo non è servito neanche a quello.
Il più invidioso fu Socrate che volle usurpare l’opera femminile. In greco “maieutica” è l’arte della levatrice. Se l’attribuì dicendo che lui aiutava gli uomini a partorire qualche idea, un pensiero. Chiamò maieutica la sua filosofia. Che misera riduzione del termine: in campo maschile generava un po’ d’aria riscaldata, una flatulenza cerebrale.
Nascere è lavoro di donne. E’ il travaglio di due vite che si separano per riafferrarsi subito, per attaccarsi e riparare il taglio con abbracci, succhiate. L’ombelico è il nodo di sutura del distacco più violento, una cicatrice irreparabile. Resta fuori da questa forza la natura dell’uomo, a lui spettano i paraggi di una protezione, di un sostegno, di una provvidenza.
Questo, fermato da uno schizzo di luce sopra un fotogramma, è il tempo delle madri. Scorre da età infinita in mezzo al loro cerchio. E’ frutto di espulsione, di forze addominali che scacciano all’aperto a boccheggiare nella miscela di azoto e ossigeno, verso mani che estraggono dallo spalancamento il grido e affanno e schianto di sollievo, a capofitto, a occhi chiusi, a sangue dappertutto e sia benedetta l’ora di arrembaggio della vita, l’ora del più sfrenato dei tumulti.
Nessuna morte è dura come il punto di nascere. Ecco le madri, le levatrici, la macchina che rinnova il mondo, indifferente a guerre, terremoti, incendi, cataclismi.
Niente la ferma, niente l’ha fermata. Opera a catapulta, scaraventa vita nel pianeta, consola e dispera, strappa e aggiunge, e attraverso di lei siamo l’umanità.”