“Che cosa aspetti ad arrenderti?” – Ogni malattia ci invia un’intimidazione camuffata da interrogativo.
Fingiamo di non sentire, pur pensando che lo scherzo è durato già troppo, e che la
prossima volta bisognerà avere finalmente il coraggio di capitolare.
Emil Cioran, “L’inconveniente di essere nati”, 1973
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Quando la malattia
“Quando la malattia
tocca gli occhi dello sguardo
da sempre veste e riveste
in un muto parlare
gli anni della vita
resta una sola domanda
come si piangono
i vivi?”
(6 settembre 2021)
Antonio Nazzaro, da “La dittatura dell’amore”, 2022
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Jenny Nyström, “La convalescente”, 1884
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Nel dolore in cui la misura è persa
“Nel dolore in cui la misura è persa
dove la malattia dell’altro si fa tua
dove t’ammali di infermità non propria
crescono i silenzi di mattoni vuoti
di vocali che sono sempre bucate
come ombrelli che non riparano
ma forse i fori dei parapioggia
nascondono il segreto del passaggio
di un ultimo sole come una speranza
mi ammalo non di te ma del tuo morire
di una mano che sollevo in una carezza
che lenta cade e ricade senza suono”
(2 novembre 2021)
Antonio Nazzaro, da “La dittatura dell’amore”, 2022
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Angina pectoris
“Se qui c’è la metà del mio cuore,
l’altra metà sta in Cina, dottore,
nella lunga marcia verso il Fiume Giallo.
E poi ogni mattina, dottore,
ogni mattina all’alba
il mio cuore lo fucilano in Grecia.
E quando i prigionieri cadono nel sonno,
quando gli ultimi passi si allontanano dall’infermeria,
il mio cuore se ne va, dottore,
a una vecchia casa di legno, a Istanbul.
E sono dieci anni, dottore, dieci anni
che non ho in mano niente da offrire alla mia gente,
nient’altro che una mela
una mela rossa, il mio cuore.
È per tutto questo, dottore,
e non per l’arteriosclerosi, non per la nicotina o la prigione,
che ho questa angina pectoris.
Guardo la notte attraverso le sbarre
e malgrado tutti questi muri
che mi pesano sul petto
il mio cuore batte con la stella più lontana.”
Nazim Hikmet, “Angina pectoris”, da “Poesie sulla morte”
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TSO (trattamento sanitario obbligatorio)
“La mente
è spaccata
da una lacrima
che piange su un fiore.
Sei tu,
e il dolore di questi petali ammaccati
dalle intemperie suda,
quando li accarezzo.
La mente è spaccata
da una lacrima che
annaffia un fiore, tenace,
quel fiore sei tu.”
Valentina Vannetti, da “Un’anima in viaggio”, 2021
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Immagine dal web
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Zia
“Sono stanca, hai detto
levandoti il camice
così piccola, di colpo
con le scarpette di gomma
nei corridoi silenziosi
dove è padrone il dolore
La testa china su una cartella
pressione azotemia glicemia
i miei giochi di parole
per farti ridere
e portarti via. Zia. Non posso
devo finire
gli alberi sono rossi di sole
stanotte forse muore
la camera cinquantotto
e noi decidiamo se andare al cinema. La mia malattia
è la tua. Il dolore
degli altri non si stacca
dalla pelle
né lasciando un camice
né finendo una poesia
e sono stanco, anch’io
che non salvo vite
e non curo ferite
neanche le tue e le mie”
Stefano Benni, “Zia”
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Federico Zandomeneghi, “Il risveglio”, 1895
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Accettare il mistero della propria condizione
“Mi chiedi della guarigione.
Cos’è.
È accettare il mistero della propria condizione, qualunque sia.
È accettare la paura, e con la spada in mano sorriderle.
È sentirsi attraversare dal tempo, che non ci contiene perché siamo noi la vastità che esso percorre.
Eppoi.
Ridere.
E ridere ancora.
Impavidamente.
Questa è la guarigione,
che i demoni temono.”
Alessandro Maini, “Accettare il mistero della propria condizione”
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Xiao Hua Yang illustrator
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Messaggio
“Ammalati,
miei fratelli,
guarirete.
E sofferenze e pene un sollievo troveranno.
Mite, nel tepore,
calerà come una sera estiva
tra i grevi rami verdi quella quiete.
Ammalati, miei fratelli,
pazienza ancora, e più tenacia ancora.
Non è morte che attende oltre la porta,
è vita.
Oltre la porta il mondo
Il mondo che leva le note a un canto.
Vi alzerete su dal letto,
andrete via.
E scoprirete nuovo
Il sapore del sale, e del pane e del sole.
Ingiallire da limone, disciogliersi da cero,
abbattersi di colpo come un platano cavo.
Miei fratelli, ammalati,
noi non siamo limoni, né platani né ceri,
noi siamo uomini per fortuna,
è per la buona sorte che sappiamo impastare di speranza
la nostra medicina.
Dicendo
“Si deve vivere!”
puntare i piedi
ed essere ostinati.
Ammalati,
miei fratelli,
guariremo.
E sofferenze e pene un sollievo troveranno.
Mite,
nel tepore,
calerà come una sera estiva
tra i grevi rami verdi quella quiete.
Nazim Hikmet, “Messaggio”, da “Nazim Hikmet, Poesie d’amore e di lotta”
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Nell’immagine in evidenza: Edvard Munch, “La bambina malata”, 1896