Vi parlo forse per l’ultima volta. Vi rendete conto della situazione di terrore in cui mi trovo? Non oso permettermi né progetti, né speranze. Ah! avevo sofferto molto per l’ingiustizia e la malvagità degli uomini; mi avevano ridotta alla disperazione; ma bisogna ammetterlo, non esiste sventura paragonabile a quella di una passione profonda e sfortunata: essa ha cancellato dieci anni di supplizio. Mi sembra di vivere solo da quando amo: tutto quello che mi addolorava, tutto quello che mi aveva reso infelice fino a quel momento si è annullato; e tuttavia, agli occhi delle persone posate e ragionevoli, dovrei essere infelice solo per ciò che non provo più; esse chiamano le passioni sventure fittizie.
Ahimè! Il fatto è che non amano nulla, non vivono se non di vanità e ambizione; e io vivo solo per amare. Non so più adattarmi al modo di vita né agli interessi della società; di più, non sarei capace di portare a termine nessun compito. Non ho nessuna virtù, ma fortunatamente sono libera, sono indipendente, e, abbandonandomi interamente al mio stato d’animo, non provo nessun rimorso perché non faccio torto a nessuno.
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Lunedì 6 settembre 1773
Oh, vi odio perché mi fate conoscere la speranza, il timore, la pena, il piacere; non avevo bisogno di questa emozione: perché non mi lasciate in pace? Il mio animo non aveva bisogno di amare: era colmo di un sentimento tenero, profondo, condiviso, ricambiato, ma tuttavia doloroso, ed è questa emozione che mi ha avvicinato a voi; dovevate solo piacermi, e invece mi avete commossa: consolandomi mi avete legata a voi; ma la cosa più sorprendente è che il bene che mi avete fatto, e che ho ricevuto senza dare il mio assenso, lungi dal rendermi docile e duttile come le persone che ricevono delle gentilezze, sembra invece avermi procurato il diritto di aspettare e forse di esigere qualcosa dalla vostra amicizia. Voi che vedete le cose con distacco e vedete nel profondo, spiegatemi se questo è il meccanismo di un animo ingrato, o forse troppo sensibile; quel che mi direte lo crederò…
Vivo, esisto così intensamente, che ci sono momenti in cui mi sorprendo ad amare follemente perfino la mia infelicità! Considerate se effettivamente non devo tenere ad essa, se non deve essermi cara; per causa sua io vi conosco, vi amo, forse avrò un amico in più, poiché voi stesso me lo dite: se fossi stata calma, ragionevole, fredda, nulla di tutto ciò sarebbe capitato. Vegeterei come tutte le donne che agitano il ventaglio conversando dell’ingresso della contessa di Provenza a Parigi. Sì, lo ripeto, preferisco la mia infelicità a tutto ciò che la gente di mondo chiama felicità o piacere; ne morirò forse, ma questo è meglio che non aver mai vissuto.
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Venerdì 23 settembre 1774
Amico mio, siete la mia vittima: vi scrivo fino a sfinirvi. È la sola occupazione che mi faccia credere che sono ancora in vita e, nonostante io creda che essere davvero morta sia lo stato migliore, tuttavia, quando soffro, provo dolcezza nel rivolgermi ancora a voi. Se non mi capite, almeno mi ascolterete e mi risponderete; poiché è molto triste non avere vostre lettere. Ecco persi due corrieri postali: lunedì e mercoledì; e me lo sono provocato io questo male, perché voi, pur senza amarmi, avreste continuato puntualmente a scrivermi. Ah, buon Dio, a quali eccessi sono stata indotta! Vi ho amato e odiato con furore: era sicuramente l’ultimo slancio di un sentimento sul punto di scomparire per sempre; poiché, sul mio onore, non ne ho più sentito parlare, non so che cosa sia divenuto…
Amico mio, cercate di immaginarvelo se potete, ma bisogna che vi dica che non è una felicità, non è un piacere, non è nemmeno una consolazione l’essere amati – e molto amati – da qualcuno che ha poca, pochissima finezza di spirito. Oh, quanto mi odio per il fatto di poter amare solo ciò che eccelle! Come sono diventata difficile!
Domenica, le dieci di sera, 13 novembre 1774
Amico mio, mi fate male, e il sentimento che mi pervade è una grande maledizione per voi e per me. Avevate ragione a dirmi che non avevate bisogno di essere amato come io so amare; no, non è questa la vostra misura: voi siete un oggetto d’amore così perfetto che dovete essere o diventare il primo interesse di tutte quelle donne che esibiscono tutto ciò che si portano dentro e che sono così amabili da amar se stesse più di ogni altra cosa. Sarete il diletto, soddisferete la vanità di quasi tutte le donne. Per quale fatalità mai mi avete trattenuta in vita, e mi fate morire d’inquietudine e di dolore? Amico mio, non mi lamento affatto, ma soffro perché non date alcun peso alla mia pace; questo pensiero ora raggela ora strazia il mio cuore.
Come si fa ad avere un momento di tranquillità con un uomo che ha la testa che cambia direzione come la sua carrozza, che non dà nessuna importanza ai pericoli, che non prevede mai nulla, che è incapace di attenzioni, di puntualità, e al quale non capita mai di fare ciò che ha progettato? In breve, con un uomo che vive seguendo il caso, trascinato da tutto, un uomo che nulla può fermare né rendere stabile? Dio mio, è per la vostra collera, per l’eccesso della vostra vendetta che mi avete condannata ad amare, ad adorare ciò che doveva essere il tormento e la disperazione del mio animo!
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Martedì, undici di sera, marzo 1775
Ho rifiutato di passare la serata con due persone che si amano per parlare con colui che amo, per occuparmi di lui con più tranquillità e piacere di quanto non ne avrei avuto in compagnia di altri: costoro non avrebbero avuto il potere di distrarmi del tutto, ma è un male essere distolti da ciò che piace e interessa. Amico mio, la solitudine ha un grande fascino per un animo occupato. Dio mio, quanto si vive intensamente quando si è morti per tutto tranne che per quello scopo che per voi è l’universo intero, e che si impossessa talmente di tutte le vostre facoltà da rendere impossibile vivere in situazioni diverse da quelle in cui si è!
Ah!, come potete pretendere che io vi dica se vi amerò fra tre mesi? Come potrei col pensiero distrarmi dal mio sentimento? Vorreste che quando vi vedo, quando la vostra presenza affascina i miei sensi e il mio animo, io potessi rendervi conto dell’impressione che riceverò dal vostro matrimonio? Amico mio, non ne so nulla, ma proprio nulla. Se questo mi guarisse, ve lo direi, e voi siete abbastanza corretto per non biasimarmi; se invece dovesse portare la disperazione nel mio animo, non mi lamenterei affatto, e soffrirei per poco tempo, e allora voi sareste abbastanza sensibile e abbastanza onesto per approvare una soluzione che vi costerebbe solo rimpianti passeggeri e dalla quale la vostra nuova situazione vi distrarrebbe molto presto. E vi assicuro che questo pensiero è consolante per me; mi sento più libera.
Non domandatemi più, dunque, che cosa farò quando avrete legato la vostra vita a un’altra; se avessi solo vanità e amor proprio sarei molto più illuminata su quello che proverò allora; non ci sono equivoci nei calcoli dell’amor proprio, esso prevede con sufficiente esattezza. La passione non ha assolutamente avvenire; così, dicendovi “vi amo”, vi dico tutto ciò che so e tutto ciò che sento. Non do nessun valore a quella costanza imposta dalla ragione, e più spesso ancora da piccoli interessi di società e di vanità che io disprezzo con tutti il mio animo. Né stimo di più quella piatta energia interiore che fa soffrire quando si può evitarlo, e che fa impegnare la ragione e la forza a tramutare un sentimento vivo in una fredda abitudine. Tutti questi sotterfugi con se stessi, tutte queste regole di comportamento con quelli che amiamo, mi sembrano l’esercizio della falsità e della simulazioni, le risorse della vanità e i bisogni della debolezza.
8Figlia illegittima della contessa d’Albon, Julie de Lespinasse si sottrae al convento solo perché deve fare da governante alla sorella maggiore. Poi, però, viene reclutata da Madame du Deffand, alla quale fa da assistente per dieci anni, ma che se ne sbarazza appena si accorge che Julie ruba la scena proprio a lei, la regina dei salotti parigini.
Questa volta, però, è proprio Julie che, nel piccolo appartamento ricevuto in eredità, apre uno dei salotti più celebrati di Francia, frequentato dai più grandi intellettuali del tempo, nomi come d’Alembert, Rousseau, Voltaire.
Due sono i suoi grandi amori.
Il primo è Gonçalve, marchese di Mora, ma la loro storia, già duramente contrastata dalla famiglia di lui, ha un epilogo tragico: il marchese di Mora muore nel 1774, mentre è in viaggio verso Bordeaux.
“Stavo per tornare da te – mi coglie la morte. Che destino terribile! Ma è dolce morire per te”, le scrive.
Alle dita, gli vengono trovati due anelli: uno contiene una ciocca di capelli di Julie; l’altro reca incisa una frase: “Tutto passa, tranne l’amore”.
La sua seconda passione è per il conte Jacques de Guibert, che ne è affascinato, ma poi finisce per sposare Alexandrine, una ragazzina che ha poco più di 18 anni.
Julie si rassegna a rimanere al suo fianco, ma nell’ombra, e poco dopo, nel maggio del 1776, si spegne, divorata dalla tisi.)