“I sogni vanno coltivati, e se è necessario accantonarli per qualche tempo,
vorrà dire che diventeranno ancora più grandi.”
Shilan, iraniana
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Adesso che non potevo più pensare a me
“Adesso che non potevo più pensare a me
come a un’insegnante, una scrittrice,
una donna libera.
Adesso che non potevo più indossare
quello che volevo, né camminare per strada
al mio passo, gridare se mi andava di farlo
o dare una pacca sulla spalla a un collega maschio.
Adesso che tutto ciò era diventato illegale,
mi sentivo evanescente, artificiale,
un personaggio immaginario scaturito dalla matita di un disegnatore
che una gomma qualsiasi sarebbe bastata a cancellare.”
Azar Nafisi, scrittrice iraniana
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Foto di Sirin Neshat (fotografa iraniana)
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Il canto delle tue dita
A Mahsa. E alle altre.*
“Che cosa amavi?
Dimmi, cosa amavi?
Forse amavi le parole strane e rare,
non ancora usurate dal dire. Forse amavi
l’inverno. O l’estate. La seta
o le felpe di cotone. La morbidezza
dolce della pesca, l’aggressione
del pepe al palato. I versi di Rumi.
Il pallone. I tramonti, gli aquiloni,
il cioccolato. Strane domande.
Non lo saprò mai.
Lascia allora che pensi alle tue dita.
A quanto pesa un velo fra le dita
se le dita rifiutano il velo, se rifiutano
il buio che infuria
sullo scandalo della tua luce.
Tutto il tuo corpo parla. E parla ancora.
Parla forte la tua bocca rossa, la fierezza
del tuo sguardo che non cede, la mossa
del tuo fianco acceso al vento,
il seno ribellato allo spavento. Parla
il tuo polso, cantano le dita
che fanno vibrare in note libere
i lembi della Hijab.
Ma è colpa grave, Masha, non lo sai?
È colpa il tuo essere donna e non volerlo tacere.
Ascolta la notte, stanotte.
Ascolta la sua voce umana,
la sua forza divina, elementare.
Contiene ogni silenzio, ogni rumore.
Di uccelli, di passi, di stelle.
Di terra e di cielo, di mare. Contiene
ogni rivolta, ogni ferita.
E al limite estremo del suono
anche il pianto di chi non ha più
pianto. Anche il canto delle tue dita.”
Antonella Sbuelz (poetessa italiana)
* Poesia dedicata a Masha Amini, morta il 16 settembre 2022, dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa iraniana per non aver indossato la Hijab
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Foto di Leila Rahimian (fotografa iraniana)
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Corri
“Corri
Una voce mi è passata accanto
E qualcuno è appena entrato di corsa nella mia mente confusa
– Corri
Le strade erano piene di folla
– Corri
Le auto suonavano il clacson nella notte senza fine
Suonavano dopo anni in cui avevano dimenticato come farlo
Mi entravano nelle orecchie e mi confondevano la mente
Le ho sentite suonare
E io tenevo in mano una foto strappata
Ho sentito il suono nel sentirsi perduti nei vicoletti ciechi
Ho sentito il suono delle lacrime che franavano da occhi di pietra
Ho sentito il suono acre del gas lacrimogeno e delle sigarette
Ho sentito il suono dei bastoni sulle schiene e sulle teste
E ho sentito le ombre corrermi dietro
– Corri
Due silenzi fecero una voce
La voce delle nostre mani separate
La tua voce passarmi vicino
La tua voce diventare la voce della gente
E la mia voce perduta in tutti quelle giornate nere
Attaccata alla porta di servizio
Al mio ufficio, al mio lavoro
Alle mie pillole nelle notti insonni
E attaccata a tutte quei risvegli sempre uguali
In cui mi svegliavo esercitando i miei sorrisi e i pianti
Replicati nello specchio
In cui mettevo la mia firma impaziente sul fondo di documenti ufficiali
In cui cercavo impazientemente una sola cosa nei giornali
In cui ritornavo dal lavoro nei miei pomeriggi di impazienza
Ritornando al silenzio che mi dava il benvenuto in ogni stanza
Ritornando al freddo delle miei mani sul caldo di una tazza
Ritornando ai giorni neri a cui seguivano giorni anche peggiori
E ritornando a me che aspetto di dare il benvenuto a mio marito
Come una mogliettina felice che aspetta di dare il benvenuto a suo marito
Aspettando che butti i suoi calzini nel salotto
– Corri
Casa mia è piena di suoni gettati via
– Corri
Qualcuno mi ha toccato le spalle
Dovresti correre verso le strade impazzite di folla
E verso una donna coperta dal velo
Dovresti correre verso quelle due ombre alle tue spalle
E verso la paura di indossare un braccialetto verde al polso
Dovresti correre verso te stessa colpita da un proiettile infuocato
E verso le tue dita a V in segno di vittoria
Dovresti correre verso il sangue aggrumato all’angolo delle nostre labbra
E verso la notte della nostra triste rinascita
Verso la notte incompleta della libertà
E verso te stessa che muori tra le mie braccia
Verso te stessa sopravvissuta tra le vittime
E verso le nostre mani nuovamente unite
Chiamami
Io sono te
Fredda come le tue mani
Chiamami
Voglio ritornare in strada
Chiamami per sussurrarti nelle orecchie con amore
Chiamami per perdermi nelle tue braccia e nei miei sogni
Ritorna e fai risorgere i ricordi
Chiamami
E sottraimi a me stessa”
Fateme Ekhtesari, poetessa iraniana, condannata, nel 2025, a 99 frustate e 11,5 anni di reclusione per crimini contro il regime iraniano, per comportamento immorale e blasfemia
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Somayeh, da Pagine bianche di un album fotografico iraniano. Per gentile concessione di Newsha Tavakolian/Magnum Photos
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Saluterò di nuovo il sole
“Saluterò di nuovo il sole,
e il torrente che mi scorreva in petto,
e saluterò le nuvole dei miei lunghi pensieri
e la crescita dolorosa dei pioppi in giardino
che con me hanno percorso le secche stagioni.
Saluterò gli stormi di corvi
che a sera mi portavano in offerta
l’odore dei campi notturni.
Saluterò mia madre, che viveva in uno specchio
e aveva il volto della mia vecchiaia.
E saluterò la terra, il suo desiderio ardente
di ripetermi e riempire di semi verdi
il suo ventre infiammato,
sì, la saluterò
la saluterò di nuovo.
Arrivo, arrivo, arrivo,
con i miei capelli, l’odore che è sotto la terra,
e i miei occhi, l’esperienza densa del buio.
Con gli arbusti che ho strappato ai boschi dietro il muro.
Arrivo, arrivo, arrivo,
e la soglia trabocca d’amore
ed io ad attendere quelli che amano
e la ragazza che è ancora lì,
nella soglia traboccante d’amore, io
la saluterò di nuovo.”
Forough Farrokhzad
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Foto di Shadi Ghadirian, dalla serie “Like everyday”
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Ti ricostruirò di nuovo, mia patria
“Ti ricostruirò di nuovo, mia patria
Anche con mattone della mia vita
Ti appoggerò sulla colonna
Colonna fatta con le mie ossa
Ancora ti racconterò dei fiori
Per i tuoi giovani
Ancora diventeremo sangue per te
E diluvio con le nostre lacrime
Se sarò morta da cento anni
Mi alzerò in piedi dalla sepoltura
Per combattere i tuoi malevoli
Se sono vecchia oggi
Avendo possibilità di imparare
Comincerò la gioventù
Insieme con i giovani.”
Simin Behbahani (poetessa iraniana detta “La Leonessa”)
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Questi non sono capelli
“Angeli di terre lontane!
Dio ha fatto i tuoi capelli d’oro?
I miei capelli sono stati giustiziati oggi
Si riversava sulle spalle nude di un albero
Angeli di terre lontane!
I miei capelli non possono essere la corona del mio corpo?
I capelli sulla mia testa non appartenevano a questo corpo ferito fin dall’inizio della creazione?
Angeli con i capelli biondi!
I miei capelli avrebbero potuto essere di un colore diverso
Angeli dai capelli d’oro delle terre libere!
I miei capelli sono diventati scuri durante una dittatura!
Angeli di terre lontane!
Lascia i tuoi capelli al vento oggi in memoria dei miei capelli morti
Nella mia terra i venti sono stanchi
I miei capelli sono stati giustiziati oggi
E gli uccelli non possono cantare sulle spalle degli alberi accanto al cadavere dei miei capelli
Una ciocca di capelli nella mia terra è un anello della morte sul collo di una donna.”
Elham Hamedi, poetessa iraniana, “Questi non sono capelli”, 19 settembre 2022
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Ombra in frammenti
“Questa è una guerra
tra il sangue nero della mia penna
e il bianco sospetto di questa carta
Questa è una guerra attraverso le mie lacrime rosse
che erutta
dai muri feriti
attraverso il mio rossetto che è rotolato
nel suolo la voce silenziosa di una donna
nel rossetto rosso.
Questa è una guerra attraverso la pelle spaccata di una donna
chi si alza impotente.
La sua faccia schiaffeggiata abbandonata a terra
è un’ombra frammentata che se ne va.”
Elham Hamedi, poetessa iraniana, “Ombra in frammenti”
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Maria Ditaranto, “B379”, omaggio della pittrice alle donne iraniane e alle vittime di violenza
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Nausea di essere
“Mi ribellerò
romperò
tutte le leggi della convivenza con la natura inanimata
mi ribellerò
con le stesse imperfette braccia e gambe
con le stesse implicazioni invertite dell’essere non essere
nausea di essere
e masticando costantemente la non esistenza
mi ribellerò
catturerò l’anima umana
da questa palude permanente.”
Elham Hamedi, poetessa iraniana, “Nausea di essere”
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Paradiso nascosto
“È vietato il sole sulla nostra pelle
e le ombre delle galassie passano facilmente dalla mia bocca scura.
Senza sorpresa o shock può congelare il nostro corpo.
Senza che la cella segreta turbi la mia mente
la lama del vento mi ha trasformato in due metà del purgatorio. Dante, ma dove stai a testa in giù nella Via Lattea?
Come l’inferno succhia l’ombra e il suo silenzio?
I melograni insanguinati scoppiano nel Giardino dell’Eden
e le scintille di fuoco
tra le ceneri delle parole giustificano la follia delle mie mani impotenti