AMICIZIA
Ho sempre ritenuto e, fortunatamente, anche sperimentato come l’amicizia, insieme alla gratitudine, sia il sentimento più puro e più nobile che si possa provare. Infatti amicizia, dalla stessa radice di amare, comporta un atto e una relazione di amore (mentre l’amicizia chiesta e data su Facebook a chi non conosciamo a me sembra più un atto di fede!). Aristotele in una bella pagina dell’Etica a Nicomaco (9, 8) rende onore alle qualità di questo sentimento, ricordandone tre tipologie proverbiali che probabilmente risalivano già a Pitagora: «gli amici hanno un’anima sola (mía psyché)», «gli amici hanno tutto in comune (koinà tà phílon)»; «amicizia è uguaglianza» (isótes philótes). A un amico diciamo, chiediamo, consegniamo tutto: gioie e dolori, confidenze e segreti che neghiamo a padre e madre, fratello e sorella, figlio e moglie. Perché? Perché l’amicizia vive di due valori “freddi”, la sincerità e il disinteresse, che per pudore e per timore di offesa o di fraintendimento non riusciamo ad avere con i prossimi. Con l’amico non c’è remora, ambiguità, paura. Capisco la sentenza di Nietzsche: «Non è la mancanza di amore, ma la mancanza di amicizia che rende i matrimoni infelici».
Ivano Dionigi (latinista)
TEMPO
Agostino non capiva cosa fosse, e forse non esiste neppure, secondo alcuni scienziati. Fino a poco fa era accelerato, scappava via troppo veloce e non bastava mai. Adesso, improvvisamente, ne abbiamo fin troppo, e si distende lentissimo. Sapremo farne uso prima che torni a correre?
Mauro Bonazzi (filosofo)
RESPONSABILITÀ
Il termine “responsabilità” viene dal latino respondere, letteralmente “rispondere”. È d’altronde delle proprie azioni, dei propri gesti e delle proprie parole che si deve poter rispondere quando qualcuno ci chiede i conti del nostro comportamento (talvolta anche delle conseguenze che ne derivano), soprattutto quando i nostri gesti e le nostre azioni hanno un impatto dannoso o doloroso sugli altri. La responsabilità, infatti, è il contraltare della libertà: è perché siamo liberi di scegliere come agire che dobbiamo poi essere anche capaci di giustificare le nostre condotte.
Michela Marzano (filosofa)
LETTURA
In greco antico “leggere” e “riconoscere” si esprimono con lo stesso verbo. Ogni lettore sa che ogni lettura comporta una scoperta. In carcere, o in quarantena, lettura vuol dire risorsa, ma anche resistenza, e, alla fine, vittoria.
Luciano Canfora (filologo e storico)
SGUARDO
Ce lo scambiamo come un pegno: come gli abbracci, come le carezze che non ci possiamo dare. Si posa sul mondo che ci sta attorno, così diverso da quello che conoscevamo e avevamo immaginato. Uno sguardo è fatto di niente, è un incrocio di intenzioni, è l’estremo, l’ostinato tentativo di capire.
Alessandro Zaccuri (giornalista e scrittore)
SOLIDARIETÀ
Evoca alla mia mente il latino sodalitas, ossia il gruppo dei sodales, i compagni, le persone vicine. Solo che sodalitas non c’entra con “solidarietà”: che è un termine economico, con cui si indica il vincolo in forza del quale un creditore ha il diritto di esigere l’intero credito dal debitore. Preferisco la mia falsa etimologia.
Maurizio Bettini (filologo classico)
FIDUCIA
Il grande filosofo David Hume sosteneva che la fiducia è il cemento della società, così come la forza di gravità lo è per la natura di Newton. È difficile pensare la permanenza nel tempo di cose come istituzioni o forme di vita, senza assumere o presupporre la persistenza costante della fiducia che tiene assieme gli attori coinvolti. Allo stesso modo, è difficile pensare che possano insorgere schemi di cooperazione durevoli fra individui o gruppi senza assumere, ancora una volta, che si dia fra essi fiducia. La fiducia, possiamo dire, è la prima virtù delle interazioni sociali. Essa, direbbe ancora Hume, è generata da processi di apprendimento sociale. Processi che danno luogo a elementari forme di socialità che certamente dipendono dai mutui riconoscimenti ma sono resi possibili dalla crescita e dalla conferma della mutua fiducia. Senza mutua fiducia, nessun mutuo riconoscimento. Senza mutua fiducia, nessuna forma di socialità. Certo, la fiducia può assumere molti volti e può essere definita in molti modi. I suoi destinatari stessi possono variare: fiducia verso una persona per le sue caratteristiche biografiche, fiducia verso una persona per le sue competenze e virtù professionali, fiducia verso un’azienda che fa formaggini (dopo tutto, “Galbani vuol dire fiducia” resta un promemoria eloquente della faccenda), fiducia verso una istituzione o un’agenzia politica o religiosa, fiducia nei confronti della scienza e del sapere. Sono convinto che oggi, ai tempi del Coronavirus, una fra le questioni centrali abbia a che vedere con il duplice transito di fiducia: nei confronti della scienza e nei confronti dei decisori pubblici. Senza dimenticare il soggiacente capitale di fiducia delle persone e fra le persone, che resta il presupposto prezioso della nostra semplice e preziosa umanità.
Salvatore Veca (filosofo)
PAURA
Paura: sostantivo femminile dal latino pavor: sgomento, ansia, angoscia; a sua volta dal greco paio che, come l’indoeuropeo pat-, indica l’atto del percuotere. Chi viene percosso è sbigottito, atterrito (paveo). Non si può fuggire lo sbigottimento ma lo si può percuotere. Per percuoterlo bisogna viverlo. La paura si vince mettendole paura. La paura teme chi non finge di non provarla, tanto che infine se ne fugge via.
Matteo Nucci (scrittore)
POSITIVO-NEGATIVO
Credo che poche cose ci lascino smarriti come le parole che di colpo cambiano significato, o meglio senso. E così, di colpo, positivo e negativo si scambiano i ruoli e, sicuramente adesso e per un po’, faremo il tifo per quello che fino a ieri ci suscitava diffidenza, riprovazione, forse perfino disprezzo. “E dai, su, reagisci, non essere così negativo”, “La sua grande forza è sempre stata la positività…”. Le parole e le cose. Chissà, magari in questo tempo vuoto potrebbe esserci spazio, e tempo, anche per (ri)leggere Foucault.
Lella Costa (attrice)
FIDUCIA
A volte ci sono eventi che possono sembrare pietre che schiacciano. Avere fiducia nel Padre è credere che queste pietre possono diventare pane che alimenta la vita. Il Signore non può togliere gli ostacoli che l’esistenza presenta, ma comunica la forza per affrontarli e superarli. Per questo non c’è niente che non possa diventare opportunità di crescita, occasione di ricchezza: “Questa è la fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo, davanti a Dio” (2 Cor 3,4), nella certezza che “per quelli che amano Dio, tutto concorre al bene” (Rm 8,28).
Alberto Maggi (teologo, biblista e religioso dell’Ordine dei Servi di Maria)
LIMITE
Ovvero, provocazione ad andare oltre, sfida da superare, per l’uomo occidentale la cui storia è la storia di limiti geografici, astronomici, scientifici, religiosi, politici, biologici da oltrepassare, da rendere non più limitanti. Fino a sfidare il limite dei limiti, la morte, con il pensiero della amortalità. Eppure ciò che vive ha un inizio e una fine, e solo ciò che vive può anche morire. E il limite dà forma a ciò che altrimenti resterebbe informe, e dando forma, dà anche bellezza. Nell’attuale contingenza il limite sfida l’uomo imponendosi come invalicabile. Vengono ristretti enormemente gli orizzonti dell’uomo globale: strade sbarrate, viaggi preclusi, restare tra quattro mura per giorni e giorni, non varcare la soglia della propria casa, quasi che gli stipiti domestici fossero divenuti delle novelle colonne d’Ercole. Il mondo ridotto alle dimensioni domestiche. L’emergenza sanitaria impone misure limitanti ben più radicali del “limite del sabato”, il techum shabbat, ovverosia la limitazione di movimento prevista nell’ebraismo per il giorno di sabato, a ricordare che non l’agire e l’agitarsi dell’uomo manda avanti il mondo. Ci è richiesta la difficile arte di dirci dei no, di porci dei limiti e di attenerci ad essi, di non fare, di non andare, di non incontrare. Ci è imposto – paradossalmente – di esercitare l’umile mitezza, ovvero l’arte di essere più forti della nostra forza autolimitandoci. Anzi, siamo ricondotti al limite che è il corpo, impedito di toccare, abbracciare, dare la mano e che deve imparare una prossemica per niente mediterranea. Eccoci di fronte, improvvisamente, alla verità elementare del nostro corpo e alla preziosità del nostro tempo che ora possiamo cogliere, sentire, non solo veder fuggire. Ovvero, i due limiti basilari e fondanti della nostra condizione umana: lo spazio e il tempo. La sfida del limite oggi è questa: sapremo abitare il corpo e il tempo? Lezione di essenzialità che forse ci consente di scoprire quanto Foucault ha detto del corpo stesso: spietata topia, qui e ora irrimediabile, ma anche luogo originario di ogni utopia, di ogni futuro, di ogni tempo a venire.
Luciano Manicardi (priore della comunità di Bose)
INVISIBILITÀ
L’invisibile è ciò che non si può vedere, perché è al di là della portata della nostra vista, perché troppo grande o perché troppo piccolo. Per poter vedere il Covid-19 l’abbiamo dovuto ingrandire e disegnare, trasformarlo in una forma leggibile, e tuttavia risulta ancora invisibile.
Marco Belpoliti (scrittore e saggista)
PESTE
Quella che i Greci chiamavano λοιμός e i Romani pestis è una malattia infettiva di origine batterica dovuta a un microrganismo specifico, Yersinia pestis, che deve il nome al medico svizzero-francese Alexandre Yersin (1863-1943), il quale per primo, nel 1894, isolò il bacillo e ne produsse il siero.
Olimpia Imperio (grecista)
DISTANZA
Ci sono distanze sacre, permettono di vedere l’inspiegabile che sei, ti lasciano vedere l’inspiegabile che sono. La nostra comune preziosità senza precipitarci verso l’altro fa tremare. Sto a un metro da te e non scappo, ti guardo. A un metro da te ti onoro, se rischio ti metto a rischio. Il rischio più grande è questo amore a distanza.
Chandra Livia Candiani (poetessa)
LIMITE
Il nostro tempo della simultaneità senza limiti ci aveva abituati a guardare con ottimismo alle nostre possibilità, inorgogliti dal successo inarrestabile della tecnologia. Ignari del passato e immersi nel presente, abbiamo creduto di poter trascendere ogni limite, geografico, fisico e psicologico, affascinati dal sogno faustiano dell’onnipotenza. Ma ora che l’orgoglio prometeico si è infranto, ci troviamo a interrogarci sulla nostra natura e sul nostro destino. L’ansia di oltrepassare i limiti ci appartiene. Ma il limite è la nostra natura. Gli antichi ci hanno insegnato a cercare il limite, la mesothes, la misura delle passioni, umiliando la tracotanza dell’ubris. Ma la misura non è banalmente mediocrità: è consapevolezza etica responsabile. Est modus in rebus, sunt certi denique fines quos ultra citraque nequit consistere rectum. I rivolgimenti terrestri ci richiamano al limite, a cercare una nuova dimensione responsabile, non egoistica, collaborativa del nostro sviluppo, l’epidemia che dilaga svela la nostra fragilità. Ma, come diceva Pascal, l’uomo è misero e grande ad un tempo. Se si esalta, lo umilio, ma se si umilia, lo esalti. Non lasciamoci fagocitare dalla paura che ci fa vedere l’altro come un nemico. È tornato il momento di riscoprire la nostra grandezza di ”animale razionale e politico”, capace di vivere con gli altri e per gli altri. Anche a costo di accettare per questo l’isolamento forzato.
Ugo Cardinale (linguista)
ATTESA
Siamo solito pensare all’attesa come a un tempo vuoto da eludere, da far passare, fino al farsi presente di ciò che si attendeva: “eccolo, finalmente!”. Questo perché parliamo spesso di futuro, ma eludiamo l’avvenire, vale a dire l’accadere del futuro, il suo arrivare. L’attesa non è altro che l’esperienza dell’avvenire, il momento in cui ci predisponiamo ad accogliere l’avvenire, l’evento, ciò che arriva. Questo predisporsi implica la sospensione del fare, dell’agire, del parlare: pura potenza di accogliere, nel silenzio, di lasciar venire ciò che viene.
Simone Regazzoni (filosofo)
PAZIENZA
È inutile che il fiore
Voglia essere frutto
Con polpe dolci e buone
Deve passare prima la stagione
L’acqua della sorgente
Non può essere mare
Con le onde e le schiume
Deve passare prima un lungo fiume
E mai nessun bambino
Potrà crescere in fretta
Solo cambiando i panni
Ci sono prima i giorni, i mesi e gli anni
C’è prima la partenza
Poi vengono i ritorni
La strada è la pazienza
I piedi sono i giorni
Bruno Tognolini (scrittore per i bambini e per i loro grandi), “Filastrocca delle cose nel tempo”, da “Filastrocche della Melevisione”
RAGIONE
Gli animali, uomo compreso, agiscono in maniera istintiva. Ma l’uomo, a differenza degli altri animali, ha anche un altro strumento: la ragione, che consiste nel pensare e meditare prima di agire. Sarebbe irragionevole voler usare sempre e soltanto la ragione, ma è altrettanto irragionevole non volerla o saperla usare mai. La ragione stessa ci dice quando dev’essere usata: dunque, siamo ragionevoli, e usiamola quando serve!
Piergiorgio Odifreddi (matematico, epistemologo, logico)
INFODEMIA
È l’incontenibile abbondanza qualitativa e quantitativa delle notizie: il primo aspetto, il qualitativo, ostacola la loro verifica selettiva; il secondo travolge chi ne è oggetto seppellendolo sotto una massa di dati ch’egli è impossibilitato a recepire e ordinare. Risultato primario dell’infodemia è l’incapacità individuale e collettiva di accedere allo scopo primario dell’informazione: la possibilità di accortamente servirsene.
Franco Cardini (storico)
RESPIRO
È largo, è breve, si trattiene; si chiede, si dà, si concede; a volte qualcosa ce lo toglie, qualcuno ci lascia senza, ci sono istanti o epoche che ce lo fanno mancare; se è corto abbiamo corso o abbiamo paura, se ne tiriamo uno profondo significa sollievo: da qualche settimana, pur essendo sempre rimasto dov’è sempre stato – tra i nostri polmoni, il naso, le labbra, e rarefatto nello spazio tra i corpi – ha smesso di essere implicito ed è diventato un mistero, un enigma, un pericolo, l’invisibile che di colpo appare. E dunque, raccolto in bolle e in fiocchi se ne sta lì – ignaro di sé eppure disorientato, un po’ filtrando, un po’ nidificando – nel concavo delle mascherine sanitarie. Non sa bene come e quando, ma vorrebbe ricominciare a trasformarsi in parole.
Giorgio Vasta (scrittore)
CASA
“La casa è il nostro angolo di mondo. Il nostro primo universo, un vero cosmo in tutti i sensi del termine”.
(G. Bachelard)
Lo spazio esterno come riflesso del mondo interiore.
Restare a casa vuol dire anche
fermarsi
riflettere
guardarsi intorno
riscoprire oggetti
ritrovare abitudini
rallentare
fare ordine
fare silenzio
ritornare al centro, al cuore, all’interno.
Si dice che la casa somiglia a chi la abita. È vero, si può capire molto di una persona osservando la sua casa, espressione della sua personalità.
In questi giorni i medici ci chiedono di pulire con cura la nostra casa, disinfettare. È l’occasione per fare pulizia, in tutti i sensi.
Togliamo la polvere, eliminiamo quello che non serve, conserviamo solo ciò che è necessario.
Apriamo le finestre, facciamo entrare aria e sole.
Restiamo a casa. Una casa pulita.
Antonella Abbatiello (scrittrice)
BIOSFERA
“A virus is haunting Europe – the vector is capitalism”. Ecco un titolo che è capitato di leggere in questi giorni, che esprime come meglio non si potrebbe l’attitudine superstiziosa che si nasconde dietro al complottismo di chi vede nel virus uno stratagemma degli americani, o dei cinesi e poi degli italiani, e poi vai a capire di chi, per tenerci tutti a casa e attuare il colpo di stato. Questa superstizione, tanto più offensiva della dignità umana in quanto non nasce da schietta ignoranza, bensì dalla pretesa di saperla lunga, esiste in ogni tempo e in ogni luogo. Ne fa fede quel grande complottista che è Don Ferrante. Filosofo scolastico e saccente, una volta esplosa la peste di Milano osservò che il contagio non era né sostanza né accidente, dunque non esisteva. Non prese alcuna precauzione, e ovviamente morì, commenta Manzoni, “maledicendo le stelle come un eroe di Metastasio”. Oggi se ne sarebbe andato maledicendo il Kapitale, e sarebbe stato, ora come allora, uno scemo. Il vettore del virus non è, ovviamente, il capitalismo, ma ognuno di noi, in quanto umano, indipendente dal suo credo politico, proprio come accade per il web. Facciamoci caso: senza umani né il web né il virus farebbero molta strada. E non la farebbero non perché gli umani diano intelligenza al web o al virus (quest’ultimo, poi, a tutto è interessato tranne che alla nostra intelligenza), ma perché ne traggono motivazioni, movimento, insomma, in una parola: vita. Quella che si costituisce nel rapporto tra virus e umani, proprio come quella che si costituisce nel rapporto tra web e umani, è una biosfera, non una infosfera: senza le nostra gambe, le nostre mani, i nostri bisogni e il nostro essere umani né il virus né il web sarebbero andati da nessuna parte. Questo valga anche come monito nei confronti di coloro che vedono nel virus la punizione di una natura abusata: la natura non ci è mai stata riconoscente come in questi giorni, con tutta questa vita offerta al virus. E ci aiuti ad apprezzare il web che, diversamente dal virus, usa la nostra vita, ma non ce la toglie, anzi, ce la restituisce.
Maurizio Ferraris (filosofo)
PAZIENZA
Occorrerà attivare un esercizio di pazienza. Sapendo che “pazienza” – se si scava bene nell’origine e nella storia di questa parola – non è una virtù dei deboli, né l’espressione di una resa. Piuttosto, una pratica di resistenza, di attenzione e di cura, di responsabilità e di scelta. In definitiva, una “passione della compassione” da esercitare verso la comunità e verso se stessi.
Gabriella Caramore (scrittrice e conduttrice radiofonica)
RESPONSABILITÀ
Oggi i governanti si trovano a fare “scelte tragiche”, in condizioni di grande incertezza: hanno bisogno di sì e di no ma gli scienziati possono solo dire dei forse. Scelte che coinvolgono le vite di milioni, miliardi di persone. Ma c’è anche una responsabilità più ampia, quella che si deve manifestare dopo l’emergenza: riparare tutti i danni che abbiamo inferto al Pianeta. E questa è ancora più difficile da esercitare. Perché nel lungo periodo dominano gli interessi commerciali e gli egoismi nazionali. Passata l’emergenza, non dimentichiamoci del cambiamento climatico, ma neanche della cause profonde delle pandemie, la deforestazione e lo sfruttamento ormai insostenibile delle risorse del Pianeta.
Paolo Vineis (epidemiologo)
POTERE
Sospeso il legislativo. Chiuso il giudiziario. Silenziato il ciarliero esibizionismo dei leader. Nello stato di eccezione non resta che la nuda autorità dell’esecutivo. Affidato a due idoli della modernità: la Tecnica e la Scienza. Chissà, dopo, se ci scopriremo disabituati alla Politica. O solo alla politica.
Giuseppe Salvaggiulo (giornalista)
Abbiamo avuto paura. Abbiamo paura. Sì, in altri momenti anche timore, ansia, panico, terrore, ma soprattutto paura. E poi angoscia perché non s’è trovato luogo dove rifugiarsi per ripararsi e ricomporsi. I miti antichi, e la saggezza dei grandi ci suggeriscono che c’è un solo modo per non lasciarsi vincere dal sentimento della paura: abitarla. E fino in fondo. È inutile scovare vie di fuga: non diverremo mai donne e uomini coraggiosi. Il coraggio infatti non è il contrario della paura, ma solo una paura attraversata. Ma chi ci ha insegnato ad abitare l’ombra? Livia Chandra Candiani scrive: «Non voglio non avere paura, voglio imparare a tremare» (da Il silenzio è cosa viva). Se genitori, educatori, amanti ci avessero insegnato – quand’era ora – a stare nella paura come nella pace dell’occhio di un ciclone, forse ora avremmo imparato a tremare. Fin da bambini ci hanno proibito di entrare ‘in quella stanza buia’, che fosse reale o figurata. Vi fossimo entrati, e rivestiti di timore e brividi avessimo imparato a stare lì, piantati a terra come gli alberi, imparando l’arte del tremare, forse oggi ci sentiremmo a casa nelle nostre zone più umbratili, e in questo tempo improbabile. Ma a tremare s’impara, e avremo una vita per farlo. Finito il tempo del restiamo a casa, riprenderemo il viaggio verso l’alba, a ‘riveder le stelle’, consapevoli che aver attraversato la selva oscura è stato l’unico modo per giungervi.
Paolo Scquizzato (sacerdote e scrittore)
FUGA
Fuggiamo, da sempre. Siamo fuggiti dall’Africa per disperderci in tutto il globo. Siamo fuggiti dalle carestie, dalle epidemie, dalle guerre, dai dittatori. Vengono tracciati confini, eretti muri e noi li attraversiamo o li abbattiamo. Desideriamo andare oltre Gaia, la Terra, trasgredire il nostro stesso mondo. Per quasi mezzo secolo abbiamo visto crescere in modo esponenziale due forme alquanto diverse di fuga. I migranti in cerca di lavoro, affetti, democrazia, migliori climi sociali. I turisti in cerca di evasione, esotismo, bellezza. Ora, tutto appare sospeso. È come se fosse in atto una battaglia contro la convivenza. Prima i confini internazionali sono stati blindati, poi quelli nazionali, poi quelli regionali e comunali e persino quelli che ci dividono dai nostri amici e parenti. Una lotta contro la fuga. Dicono che abbiamo ricominciato a leggere libri. Rispolverare vecchi romanzi dimenticati, cercare affannosamente in rete film, concerti, spettacoli, qualcuno che ci faccia ridere. L’essere umano fugge anche da fermo. Rompe la crosta dell’abitudine con l’ironia, il gioco, il sogno. La finzione del teatro. Fuggiamo non solo perché abbiamo i piedi, ma perché le culture che ci avvolgono lasciano sempre degli interstizi da cui possiamo vedere chi e come potremmo essere. Chi e come vogliamo essere quando finirà questo tempo di sospensione. Fuggiamo perché non siamo individui solitari: ogni io è un noi, saturo di diversità, di brandelli di storia, di parole e concetti fabbricati chissà dove. Anche in tempi di confinamento si può fuggire percorrendo la diversità e le molteplici possibilità che stanno dentro e fuori di noi.
Adriano Favole (antropologo)
GIOVANI
La generazione COVID incontra per la prima volta la tragedia, non in modo virtuale, ma reale e collettivo: il virus (che nemmeno sa che ci siamo) agisce come il destino nella tragedia greca, inesorabile. Spero che ne esca più generosa: forse, sarà disposta a prendersi sulle spalle gli altri, come Enea prese sulle spalle il vecchio Anchise.
Giulio Guidorizzi (grecista)
SIMBOLO
Simbolo è parola bellissima, che per i Greci era segno di riconoscimento di un’antica ospitalità mai dimenticata, un oggetto spezzato in due e conservato sino al momento in cui sarebbe stato possibile syn-ballein, rimetterlo insieme. In questo tempo sospeso ognuno di noi resti simbolo per qualcuno.
Cristina Dell’Acqua (scrittrice)
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Immagine in evidenza: Paolo De Biasi, “Padiglione”, 2020