A me piace viaggiare. Si capisce, anche a voi, viaggiare piace a tutti, ma io volevo dire viaggiare, viaggiare, cioè immedesimarsi, stare con le cose veramente in altri luoghi. Il guaio è che la gente, noi, non vediamo nulla. Non è solo per ignoranza. L’ignoranza ha la sua parte, ma è perché il cervello, la memoria, gli occhi captano poco o nulla.
Un soldato, di tutta l’Albania ricordava un olivo. Io stesso che sono stato in America più di una volta ricordo poche cose, voglio dire cose che mi porto con me. Mi ricordo le cose stupide, che ho mangiato una patata cotta nella buccia, che in albergo il problema era chiudere la porta dando due giri alla chiave. Ricordo un autista che era allegro e suonava il clacson, così, senza ragione, per festa. Ricordo un bambino negro, un cane nano che si chiamava Topo, un carrello per portare le valigie.
Le cose che volevo ricordare, per esempio che effetto fa passare sotto un grattacielo, i quadri che ho visto al museo di St. Louis, me li sono scordati e non ricordo neanche cosa mi disse quel personaggio politico importante che mi presentarono in una festa.
Della Germania ricordo una parola che mi frulla nella mente, ma non mi viene fuori del tutto, una parola con molte e molte acca. Di intere città non mi ricordo nulla, neanche il nome, non mi ricordo il viso delle donne con cui ho fatto l’amore.
Mi ricordo una luce che faceva male agli occhi in un bar di Francoforte, il sapore dolciastro di una qualità di sigarette e di Londra ricordo bene solo l’entrata di un parco e le maglie rosse dei bambini in un altro parco. Se faccio uno sforzo posso ricordare tante cose, ma bisogna che faccia uno sforzo e quelle cose che poi ricordo sforzandomi, so che non contano nulla. Quello che conta è quello che uno ha stampato dentro con grande chiarezza. La fotografia che la gente prende di tutto prova che non ricorda nulla. E poi cosa c’entrano le fotografie? Le fotografie delle stesse identiche cose che uno ha visto non sono le cose che uno ha visto, ma la fotografia, cioè una cosa diversissima, più deformata di quanto potrebbe fare un racconto fatto da un’altra persona.
Viaggiare, ho concluso, non seve a nulla perché tutto cade nel buio. Dopo poco ti accorgi che un intero continente è sparito. Ti rimane una scatola di fiammiferi, una monetina. Perché è il presente che ci cade addosso, è la necessità minuta e inevitabile della nostra vita reale. I mille piccoli impegni, le chiamate al telefono, le rate da pagare, i rubinetti spannati, le lampadine da sostituire, il mal di denti, la stufa che perde, l’ufficio. I viaggi sono come degli stacchi, delle distrazioni come quando ti addormenti al cinema e poi apri gli occhi, e ritorni dentro la storia.
E più viaggi, se mai hai soldi per farlo, e più la tua vita è piena di buchi. Ti si guasta l’appetito, non sai più in che modo mangiare, verso sera vai per una via dove in fondo vedi un bagliore d’Africa e poi invece t’accorgi che sono le mura del vecchio manicomio. Viaggiare è pericoloso. Per questo la memoria cancella e ci protegge. La tua vera vita è al catasto, la tua minestra è quella che ti fa tua moglie. No, non ci sono le dune, non ci sono le savane, non ci sono i grandi fiumi. Ho incontrato vecchi soldati che dopo quarant’anni avevano ancora nel naso un odore di menta sentito chissà in quale foresta e altri, capitani di mare, camminare sotto la pioggia per ricordare i monsoni. Chi ricorda qualcosa di intenso è come stregato, è come se un pezzo di sé fosse altrove. Si può essere altrove e presenti? Si può essere in due luoghi? Continuare a leggere quel libro aperto nella libreria di Francoforte? O stare in quel caffè ad Amburgo con quella ragazza bruna graziosa e un po’ strabica? No, non si può. Giustamente forse la gente viaggia in comitive, non vede nulla e ritorna felice, perché appunto è come non si fosse mai mossa.
E viaggiare allora? Viaggiare è la proposta di un’altra vita, è il bisogno dell’impossibile.”