Henri Matisse incontrò Monique Bourgeois durante una lunga degenza all’ospedale di Nizza dove si era sottoposto ad un difficile intervento chirurgico. Monique era una giovane allieva infermiera con la quale il pittore intrattenne un rapporto molto cordiale; anzi, il giorno in cui la ragazza gli mostrò alcuni dei suoi disegni, Matisse la incoraggiò a proseguire.
“Voi sapete che, mio signore, io non vi considero semplicemente come un malato. Voi siete per me come un nonno. Io non ho conosciuto i miei, ma li immagino così”. [In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence, 2003]
Poi, improvvisamente, nel 1942, Matisse le telefonò con una richiesta che la ragazza non si sarebbe mai aspettata: “Volete venire da domani pomeriggio per delle sedute di posa, remunerate, ben inteso?” [In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence, 2003]
Fu così che Monique divenne la sua modella, alternando le sedute di posa con le sue consuete mansioni di infermiera.
“Perché mi avete scelta? A casa mi dicevano sempre di essere brutta. Talvolta avevo paura anche di uscire”. “Ma chi vi ha detto questo? I vostri parenti?”
“Credete voi che la bellezza greca sia il solo tipo di bellezza? Ciò che io guardo è il volume, l’espressione, la vostra fronte che è come una torre, la massa splendida dei vostri capelli, l’ovale del viso, l’espressione dello sguardo, il décolleté, le braccia affusolate, delle quali non si vede l’articolazione, le mani. E’ qualcosa di vivo e non di freddo.” [In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence, 2003]
Ciò che Matisse non avrebbe mai immaginato, è che nel frattempo Monique meditava di entrare in convento. Quando il pittore lo venne a sapere, ne rimase molto deluso.
“Come avete potuto avere una simile idea? Avevo intenzione di farvi esercitare al disegno ed, in particolare, negli schizzi per dei pannelli a carattere educativo. Avevo tanto ammirato le illustrazioni da voi fatte nei quaderni di infermiera!” [In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence, 2003]
Henri Matisse, “Monique”
Henri Matisse, “L’idole”
Henri Matisse, “La robe verte e les oranges”
Henri Matisse, “Tabac royal”
Fu così che, nel 1944, Monique entrò nell’ordine delle domenicane di Vence assumendo il nome di Sœur Jacques-Marie. Scrivendole per averne notizie, Matisse diceva tra l’altro:
“Voi vivete la vostra vita spirituale nella luce. Ed io? Io non vivo che per la luce e sono stato a cercarne una nuova sfumatura agli antipodi. La sottomissione, l’ho anch’io, è per questo che ho potuto essere insultato da tutti i critici d’arte per più di 20 anni, poiché io ero sottomesso alla volontà divina, piuttosto che ai gusti di un pubblico che si basava su delle abitudini meccaniche indegne di una creatura d’origine divina o abitata da una particella divina donata ad ogni essere. Il Signore ha detto: “Fuori della Chiesa non c’è salvezza”. La mia strada non si è precisata così. Io sono stato condotto (molto modestamente) pertanto ed io l’ho constatato solamente in questi ultimi anni, guardando a ritroso il mio cammino, a considerarmi come destinato dall’Altissimo a risvegliare nello spirito degli altri uomini la visione delle cose, che conduca ad una elevazione dello spirito, fino a giungere al Creatore. Io obbedisco – io lo credo fermamente – al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. La mia contemplazione non può essere soltanto di ammirazione ma deve essere attiva, mettendo in moto tutte le risorse dello spirito per creare il mezzo più diretto per elevare lo spirito dei miei simili verso una regione che li faccia uscire dalla loro bassa condizione umana – soprattutto dall’interesse “del guadagno per il guadagno” con il quale si pensa di poter tutto comprare. Voi pregate per me. Ve ne ringrazio. Domandate a Dio di donarmi nei miei ultimi anni la luce dello spirito che mi tenga in contatto con Lui, che mi permetta di far giungere la mia carriera lunga e laboriosa allo scopo che io ho sempre cercato; rendere la Sua gloria evidente ai ciechi per un nutrimento esclusivamente terrestre… Il bisogno di rispondervi mi ha obbligato a trovare, nel mio più profondo, delle cose che io non formulo mai con pensieri, che non provo il bisogno di comunicare agli altri… Io vado in questo momento, come tutte le mattine, a fare la mia preghiera, con la matita in mano, davanti ad un melograno coperto di fiori nei diversi stadi della fioritura e spio la loro trasformazione, facendo questo non con uno spirito scientifico, ma compenetrato di ammirazione per l’opera divina Non è questo un modo di pregare? Ed io non faccio che (ma, in fondo, io non faccio niente, perché è Dio che conduce la mia mano) rendere evidente per gli altri l’intenerimento del mio cuore.” [In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence, 2003]
In quel periodo le condizioni di salute di Sœur Jacques-Marie non erano buone, per cui la religiosa chiese ed ottenne di essere trasferita a Vence, dove il clima era decisamente migliore e Matisse, che era andato a trovarla, parlò delle sue impressioni in una lettera ad André Rouveyre, datata 27 aprile 1947:
“Ho appena ricevuto la visita della mia religiosa, quella che ha posato per il quadro chiamato “L’idolo”. E’ una domenicana, è sempre una persona magnifica. Noi chiacchieriamo delle cose e degli altri con un certo tono, ci punzecchiamo dolcemente. Quando se n’è andata, Madame Lydia mi ha detto di essere sorpresa dal nostro modo di conversare. Io so cos’è che la colpisce: è che si avverte una certa tenerezza, anche inconsapevole. Io ho sintetizzato ciò che pensa Lydia dicendo che si tratta di una sorta di flirt , a me piacerebbe scrivere fleurt , perché è un po’ come se noi ci lanciassimo l’un l’altro dei fiori sul viso, dei petali di rose. E perché no? Niente vieta questa tenerezza che fa a meno delle parole e che va oltre le parole.”
La vetrata disegnata da Sœur Jacques-Marie
Nel 1947, Sœur Jacques-Marie chiese all’artista di progettare una cappella che sarebbe sorta vicino al convento e di cui esistevano già le fondamenta e gli mostrò la bozza della vetrata di una finestra che lei stessa aveva disegnato. In quello stesso anno, dopo una serie di incontri con alcuni religiosi interessati all’opera, Matisse, pur non avendo mai lavorato a progetti architettonici, si lasciò convincere. Anzi, sempre più entusiasmato da questa idea, decise perfino di sostenere di tasca propria i costi per la realizzazione della cappella. Il decorso dei lavori, però, fu avvelenato sia dalle polemiche scoppiate tra i vari soggetti impegnati nell’opera, sia dai giornali che cominciarono a muovere una serie di illazioni morbose circa il rapporto tra Matisse e Sœur Jacques-Marie. Né mancarono le critiche degli amici, tra i quali Pablo Picasso:
“Picasso era furioso che facessi una chiesa – Perché non fate piuttosto un mercato? Potreste appendervi dei frutti, dei legumi. – Ma non me ne importa nulla: ho dei verdi più verdi che le pere e degli arancioni più arancioni delle zucche.”
Intanto, le condizioni di salute di Matisse andavano peggiorando sensibilmente.
Il 12 dicembre del 1949, fu posata la prima pietra della cappella.
La benedizione dell’opera mise la parola fine anche ai rapporti tra Sœur Jacques-Marie e Matisse: la suora, dopo aver pronunciato i voti definitivi, chiese di poter lasciare definitivamente Vence per sottrarsi al clima avvelenato creato dalla stampa. Matisse morì il 3 novembre 1954, poco dopo il loro ultimo incontro.
Non ci è dato sapere il motivo per cui Henri Matisse abbia accettato la realizzazione della cappella: anche in questo caso, potrebbero valere le parole lasciate da Cesare Pavese nel suo ultimo biglietto: “Non fate troppi pettegolezzi”.
Questa, invece, la testimonianza di Matisse:
“Per tutta la mia vita ho subito l’influenza dell’opinione corrente all’epoca dei miei inizi, nella quale si accettava solo di registrare le osservazioni fatte sulla natura, dove tutto ciò che proveniva dall’immaginazione o dal ricordo era chiamato ‘artefatto’ e considerato senza valore al fine della costruzione di un’opera plastica. Gli insegnanti delle Belle Arti dicevano ai loro allievi: ‘Copiate supinamente la natura’.
Durante tutta la mia carriera io ho reagito contro questa opinione alla quale non potevo sottomettermi e questa lotta è stata all’origine delle varie trasformazioni affrontate nel corso della mia strada, durante la quale ho cercato delle possibilità di espressione al di fuori della copia letterale, come il Divisionismo e il Fauvismo.
Queste rivolte mi hanno portato a studiare separatamente ogni elemento di una costruzione: il disegno, il colore, i valori, la composizione, il modo in cui questi elementi possono combinarsi in una sintesi senza che l’eloquenza di uno di loro sia diminuita dalla presenza degli altri e come costruire con questi elementi, non sminuiti nella loro qualità intrinseca dalla loro unione, cioè rispettando la purezza dei mezzi. Ogni generazione di artisti vede in modo diverso dalla generazione precedente la produzione. I quadri degli Impressionisti, composti con dei colori puri, hanno mostrato alla generazione successiva che questi colori, se possono essere usati per descrivere delle cose o dei fenomeni naturali, hanno in essi stessi, indipendentemente dagli oggetti che vogliono esprimere, un effetto importante sul sentimento di colui che li guarda.
E’ così che dei colori semplici possono agire sull’intimo con tanta più forza tanto più sono semplici. Un blu per esempio, accompagnato dall’irraggiamento dei suoi complementari, agisce sul sentimento come un energico colpo di gong. Lo stesso avviene per il giallo e il rosso e l’artista deve poterne usare secondo necessità.
Nella cappella il mio scopo principale era creare un equilibrio tra una superficie di luce e di colore ed un muro pieno, decorato con disegni neri su fondo bianco. Questa cappella è per me il compimento di tutta una vita di lavoro e la fioritura di uno sforzo enorme, sincero e difficile. Non è un lavoro che io ho scelto, ma un lavoro per il quale sono stato scelto dal destino sul finire della mia strada, che io continuo secondo le mie ricerche, visto che la cappella mi dà l’opportunità di fissarle riunendole. Io ho il presentimento che questo lavoro non sarà inutile e che potrà restare l’espressione di un’epoca dell’arte, forse superata – ma io non lo credo. E’ impossibile saperlo oggi, prima che i nuovi movimenti abbiano trovato la loro realizzazione.
Gli errori che questa espressione del sentimento umano può contenere cadranno da soli, ma resterà una parte viva che potrà unire il passato con l’avvenire della tradizione plastica.
Mi auguro che questa parte, che io chiamo ‘le mie rivelazioni’, sia espressa con forza sufficiente da essere fertile e da tornare alla sua sorgente.”
L’interno della Chapelle du Rosaire, a Vence
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Una delle lettere che Henri Matisse scrisse a Soeur Jacques-Marie:
“A suor Jacques-Marie
Vence, 20 giugno 1945
Cara suor Jacques-Marie,
mi auguro che abbiate avuto notizie soddisfacenti da vostro fratello, magari è rientrato in Francia. La vostra risposta a un’allusione che ho fatto nella mia lettera sul nostro comune destino mi ha interessato dal momento che vi ho risposto? Lo faccio senza alcuna pretesa, credetemi, e vado per la mia strada senza badarci troppo, tranne che in occasione della vostra lettera e riguardo a voi. Voi vivete la vostra vita spirituale nella luce e io? Io vivo solo per la luce e sono andato a cercarne una nuova sfumatura agli antipodi.
I. Voi scrivete che la luce di Dio che mi innalza fino a Lui – come ho scritto più giù – è stato mentre scrivevo la mia lettera che l’ho aggiunta a questa replica.
II. La sottomissione ce l’ho anch’io, è così che ho potuto essere per oltre vent’anni insultato da tutti i critici d’arte sui loro giornali, perché ero sottomesso alla volontà divina piuttosto che alla ricerca della soddisfazione di un pubblico che vive di abitudini meccaniche indegne di una creatura divina o che contiene la particella divina riversata in ogni essere.
III. Il Signore ci ha detto: «Fuori dalla mia Chiesa non c’è salvezza». La mia strada non è stata tracciata così. Sono stato condotto (molto modestamente), tuttavia, e l’ho constatato solo negli ultimi anni guardando a ritroso il mio cammino, a considerarmi come essendo stato, sulla terra, designato dall’Altissimo a risvegliare nelle menti degli altri uomini la visione delle cose che porti a un’elevazione dello spirito che sfoci nel Creatore.
Io obbedisco, lo credo fermamente, al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. La mia contemplazione non può essere semplicemente ammirativa ma deve essere attiva, mettere in moto tutte le risorse dello spirito per creare il mezzo più diretto a elevare lo spirito stesso dei miei simili verso uno spazio che li tiri fuori dalla loro infima condizione umana – soprattutto dall’interesse, «il denaro per il denaro» con il quale tutto si può comprare. Pregate per me. Grazie. Domandate al Signore di concedermi nei miei ultimi anni la luce dello spirito che mi terrà in contatto con Lui, che mi consentirà di condurre la mia carriera lunga e laboriosa verso ciò che ho sempre cercato, rendere la Sua gloria visibile ai ciechi con nutrimenti esclusivamente terreni. Domandategli altresì di concedermi la salute per questo, anche se questo auspicio passa in secondo piano. Ecco qui cara suor Jacques-Marie la mia professione di fede suscitata dalla vostra lettera. Ve ne sono grato. Il bisogno di rispondervi mi ha obbligato a trovare nel più profondo di me stesso cose che non formulo mai a parole poiché non avverto il bisogno di comunicarle ad altri. I miei migliori auguri di buona salute a tutta la vostra famiglia, a voi che avete una missione tanto nobile e così poco direttamente interessata. Adoperate tutte le risorse del vostro spirito al meglio. Non avete il diritto di trascurarle dal momento che vi sono state concesse.
Ancora un foglio! Per dirvi, dato che me lo chiedete, che la mia salute si è rinvigorita. In questo momento vado ogni mattina a recitare la mia preghiera, la matita in mano davanti a un melograno coperto di fiori nei loro diversi stadi di fioritura e spio la loro trasformazione, in effetti non lo faccio con uno spirito scientifico ma ricolmo di ammirazione per l’opera divina. Non è questa una maniera di pregare? e faccio in modo (ma in fondo non faccio niente personalmente perché è Dio a guidare la mia mano) di rendere percepibile ad altri la tenerezza del mio cuore.”
Henri Matisse