Affabulazioni

Psicomagia

21.03.2023
“Ho vissuto per molti anni nella capitale del Messico e ho avuto così l’opportunità di studiare i metodi di quelli che vengono considerati “maghi” o “guaritori”.
Sono numerosissimi. Ogni quartiere ha il proprio. Nel pieno centro della città si trova il gran mercato di Sonora, dove si vendono esclusivamente prodotti magici: candele colorate, pesci secchi a forma di diavolo, immagini di santi, piante medicinali, saponi benedetti, tarocchi, amuleti, sculture di gesso della Vergine di Guadalupe trasformata in scheletro, ecc.
In alcuni retrobottega immersi nella penombra, donne con un triangolo dipinto nella fronte massaggiano con fasci di erbe e acqua benedetta quelli che vanno a consultarle, e praticano “pulizie” del corpo e dell’aura…
I medici professionisti, figli fedeli dell’Università, disprezzano queste pratiche. Per loro la medicina è una scienza. Scopo di tutti, senza differenze, è trovare la cura ideale, certa, per ogni malattia. Vogliono che la medicina sia una, ufficiale, senza improvvisazioni e applicata a pazienti che vengono trattati soltanto in quanto corpi. Nessuno si propone di curare l’anima. Per i guaritori, invece, la medicina è un’arte. Per l’inconscio è più facile capire il linguaggio onirico che il linguaggio razionale. Da un certo punto di vista le malattie sono sogni, messaggi che rivelano problemi non risolti. I guaritori, con una grande creatività, sviluppano tecniche personali, cerimonie, sortilegi, farmaci strani, come clisteri di caffelatte, decotti di viti arrugginite, compresse di purè di patate, pillole di escrementi di animale o uova di tarlo. Alcuni hanno maggiore immaginazione o talento di altri, ma tutti, se vengono consultati con fiducia, sono utili. Parlano all’essere primitivo, superstizioso che ognuno di noi porta dentro di sé.
Nel vedere all’opera questi terapisti popolari, che spesso fanno passare per miracoli trucchi degni di un prestigiatore di fama, ho elaborato la nozione di “trappola sacra”. Perché lo straordinario accada, è necessario che il malato, ammettendo l’esistenza del miracolo, creda fermamente nella possibilità di guarire. Per avere successo, il mago, nei primi incontri, è costretto a usare trucchi che convincano il paziente che la realtà materiale ubbidisce allo spirito. Dopo che questi è caduto nella trappola sacra, vive una trasformazione interiore che gli permette di percepire il mondo dal punto di vista dell’intuizione più che da quello della ragione. Solo allora può accadere il vero miracolo.
– Predicevi il futuro?
– Assolutamente no!
Nel predire un dato avvenimento lo si provoca: è il fenomeno che la psicologia sociale chiama “realizzazione automatica delle predizioni”.
– Cosa mi dici di quei veggenti che predicono soltanto avvenimenti felici, prosperità, fertilità e altre fortune?
– In ogni caso si tratta di manipolazione. Inoltre sono convinto che sotto l’etichetta “veggente di professione” si nascondano sempre, salvo rare eccezioni, individui squilibrati, insensibili ed esaltati. Soltanto le predizioni di un santo sarebbero degne della nostra fiducia… Ecco spiegato perché rifiuto l’idea di dedicarmi all’attività di veggente.
– Torniamo alle origini della psicomagia e alla tua attività di specialista nella lettura dei tarocchi. In che cosa consisteva?
– I tarocchi erano lo strumento che mi permetteva di individuare i bisogni di una persona e di localizzare la radice dei suoi problemi. Com’è noto, il mero fatto di portare alla luce una difficoltà incosciente, o ignota, è già un primo passo verso la soluzione. Lavorando con me, le persone acquistavano coscienza della propria identità, delle proprie difficoltà, di ciò che le spingeva a operare in una certa direzione. Le obbligavo a muoversi in lungo e in largo all’interno del proprio albero genealogico, al fine di dimostrare l’origine ancestrale di certi malesseri. Ciononostante, molto presto ho capito che non ci poteva essere autentica guarigione se non si passava all’azione concreta. Perché la consultazione avesse effetti terapeutici, doveva tradursi in atto creativo reale. Per questo a coloro che venivano da me ordinavo di compiere una o più azioni. L’individuo e io, di comune accordo e pienamente coscienti, dovevamo fissare un programma di azione molto concreto. Così ho iniziato a praticare la psicomagia.
Accedere ai problemi di una persona significa entrare nella sua famiglia, penetrare l’atmosfera psicologica del suo ambiente. Tutti siamo marcati, per non dire contaminati, dall’universo psicomentale dei nostri antenati. Così molti individui fanno propria una personalità che non è la loro, ma che proviene da uno o più membri della loro cerchia affettiva. Nascere in una famiglia è, diciamo, essere posseduto.
Questo possesso si trasmette di generazione in generazione: la persona stregata si converte in stregone, proiettando sui suoi figli ciò che prima era stato proiettato su di lei… a meno che non si acquisti coscienza della situazione e si rompa il circolo vizioso. Dopo una seduta di due ore, molti esclamavano: “Non avevo scoperto tante cose neppure in due anni di psicoanalisi”. Quindi mi ritenevo soddisfatto, convinto che per risolvere un problema bastasse esserne coscienti. Ma non era vero. Per risolvere un problema non basta identificarlo. Non serve a niente essere consapevoli se non si passa all’azione. Me ne sono reso conto per gradi, arrivando infine alla conclusione che era necessario dare anche consigli di ordine pratico. Ma ero restio…Allora mi venne un’illuminazione: perché la presa di coscienza di un problema divenisse efficace, dovevo far agire l’altro, indurlo a compiere un’azione precisa, senza per questo assumermene la tutela o diventarne la guida per tutta la vita. Così è nato l’atto psicomagico, nel quale si coniugano tutte le esperienze, assimilate nel corso degli anni, di cui abbiamo parlato finora. Prima di tutto studiavo la persona, le chiedevo di raccontarmi tutto. Invece di tentare di divinare attraverso i tarocchi, la sottoponevo a un semplice interrogatorio. La familiarizzazione con il terreno psicoaffettivo della persona mi pareva un requisito indispensabile per la prescrizione di qualsiasi atto psicomagico. I problemi che abbiamo sono solo quelli che desideriamo avere. Siamo legati alle nostre difficoltà. Non bisogna stupirsi quindi se qualcuno tergiversa e si ingegna su come sabotare l’atto: in realtà non vuole davvero curarsi. Risolvere i nostri problemi implica modificare profondamente la relazione con noi stessi e con tutto il nostro passato. Date queste premesse, chi sarà veramente disposto a cambiare? La gente desidera smettere di soffrire, è vero, ma non è disposta a pagarne il prezzo, a cambiare, a cessare di definirsi in funzione delle sue adorate sofferenze.
– Concludendo, la psicomagia è un esercizio puramente spirituale…
– Proprio così. Mi concentro sull’azione – sul mero fatto di dare, di alleviare il dolore attraverso la prescrizione di un atto – senza preoccuparmi dei frutti che potrei raccogliere a titolo personale. Per questa ragione, la psicomagia non utilizza parametri medici o paramedici. Si basa soprattutto sul distacco di chi la pratica. La cosa importante è accettare se stessi. Se la condizione in cui mi trovo è causa di malessere, è segno che la rifiuto. Allora, più o meno coscientemente, tento di essere diverso da come sono, in definitiva non sono più io. Se, al contrario, accetto pienamente il mio stato, troverò la pace. L’accettazione di sé non limita le aspirazioni, al contrario, le nutre. Perché ogni miglioramento partirà sempre da ciò che si è realmente.
Alejandro Jodorowsky, da “Psicomagia. Una terapia panica. Conversazioni con Gilles Farcet”, 1995

Lascia un commento