Epistolario

Lettere di Gertrud Kolmar alla sorella Hilde

13.04.2023
Hilde, sorella carissima,
Un mio conoscente, il dottor H. era uno studioso di Spinoza e un giorno mi ha parlato della sua teoria sulla libertà della volontà umana all’interno della non-libertà. Penso di capire tutto questo attraverso le mie esperienze personali. Non è dipeso da me accettare o rifiutare il lavoro in fabbrica, mi è stato imposto, però ero libera di accettarlo o di rifiutarlo interiormente; posso eseguirlo con ritrosia o con buona volontà. Dal momento che io l’ho accettato nel mio cuore non me ne sono più sentita soffocata. Ho deciso di considerare questo lavoro un insegnamento e di imparare il più possibile. In questo modo, dentro alla non-libertà, ho scelto la libertà. E così vorrei anche sopportare il mio destino, sia esso alto come una torre o nero e soffocante come una nuvola…
Berlino, 23-10- ore 4 del mattino
Cara Hilde,
Di recente mi ha offerto aiuto un breve, piccolo episodio. Durante la pausa per la colazione (un quarto d’ora circa), mi trovavo nella stanza degli armadi e sedevo tutta sola su una panca vicino a una giovane zingara che non faceva nulla, non parlava, guardava completamente immobile fuori, verso il cortile deserto della fabbrica… Io l’ho osservata: non aveva quella faccia angolosa degli zingari con gli occhi inquieti e scintillanti, anzi i suoi tratti erano morbidi, quasi slavi; era di carnagione abbastanza chiara… E non aveva soltanto l’aria cupa, vinta degli animali, dei vecchi cavalli da tiro. Questo inevitabilmente c’era, ma c’era anche qualcosa di più: una chiusura impenetrabile, un silenzio, una distanza non più raggiungibile da una parola o da uno sguardo del mondo esterno… E ho capito che proprio questo avevo sempre voluto possedere senza riuscirvi e che se adesso l’avessi, niente e nessuno dall’esterno mi potrebbe più toccare. Però mi trovo già su questa strada e ne sono contenta… I reumatismi di papà sono migliorati, anche se non molto… Lui naturalmente sta ancora dormendo.
Un caro saluto!
Trude
Berlino 1.2.42
Mia cara Hilde,
Se non avessi le esperienze che invece ho vissuto, sicuramente sarei d’accordo con te sulla delusione che «sta in agguato», sull’illusione e la realtà; e per molte donne, forse per la maggior parte, parlo di donne sensibili e forti d’animo, vale quello che tu dici. Invece per me… Mi credi se ti scrivo qui: «Non sono mai stata delusa» e «la realtà è sempre impensabilmente più bella di tutte le illusioni?». Mi credi? Per me è stato così.
Non voglio dire con questo che non mi sono mai sentita infelice, che non ho mai provato dolore. Anzi, sono stata molto, molto infelice, ho sopportato anche dolori molto forti e profondi che però ho anche amati come una futura madre può amare i tormenti con i quali viene benedetta dal proprio figlio. Ma tutto questo io l’avevo intuito già prima, l’avevo previsto e sopportato in anticipo, conoscevo il prezzo altissimo che avrei dovuto pagare, quindi delusioni per me non ce ne sono state. Le parole «eterno», «costante» e «fedele» (almeno applicate al mio partner) le avevo cancellate dal mio vocabolario sin dall’inizio. Questo probabilmente era dovuto anche al fatto che io non sono mai stata l’unica, ma sempre «l’altra»…
Tu riterrai che fossi troppo modesta, invece non lo ero. Avevo una infiammabilità bassa e prendevo fuoco molto difficilmente – un fuoco che poi si spegneva presto, però, se bruciava (quanto raramente), la brace era forte e durevole. Il mio sentimento diventava allora una specie di re Mida capace di trasformare in oro tutto quello che toccava con le sue mani; si levava grande come un sole e indorava ogni stagno, ogni pozzanghera.
E infine non aveva più tanta importanza quello che faceva, come si comportava la persona cui era dovuto il suo sorgere, il suo calore, il suo irradiare. Il sole splende sopra i giusti e gli ingiusti…
Con tanti cari saluti anche da papà
Trude
Gertrud Kolmar, da “Lettere a Hilde”
(Gertrud Chodziesner,nota con lo pseudonimo di Gertrud Kolmar, è una poetessa tedesca uccisa ad Auschwitz nel 1943)

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