«La nostra rigenerazione – sostiene Leopardi – dipenderà da un’ultra filosofia che conoscendo l’intero e l’intimo delle cose ci ravvicini alla natura».
Quando filosofia e poesia non erano ancora separate, Empedocle contemplava il maelström (vortice) di lava dall’orlo del cratere e l’incanto dei suoi occhi specchiava la potenza della terra. La prossimità alla natura colmava di immagini, rendeva forti e audaci. Cosa è successo dopo? Perché ci siamo smarriti?
«Spesso mi chiedo – ha scritto Hölderlin – se non è meglio dormire che stare così senza compagni a languire in attesa: e che fare intanto che dire non so: per quale ragione poeti nei tempi di privazione? Ma tu dici che sono come i preti sacri di Dioniso che di paese in paese andavano nella sacra notte».
Il nostro tempo adesso è una tavola di chiodi su cui stride l’ottimismo dei mercati. La ruggine del Capitale ha divorato tutto ma non il fuoco. Chi porta il fuoco si aggira di notte, corre sui crinali delle montagne, danza sulle nevi del Citerone e abbraccia l’alba.
“J’ai embrassé l’aube d’été” (“Ho abbracciato l’alba dell’estate“) aveva scritto Rimbaud.
Se Lenin avesse letto Rimbaud le cose forse sarebbero andate diversamente.
Andrea Appetito, da “Rigaglie”, rubrica de “La Bottega dei Barbieri”, 18 settembre 2022
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