Affabulazioni

Dizionario dei personaggi di romanzo

08.05.2023
Dizionario dei personaggi di romanzo:
Don Chisciotte
Uno dei massimi emblemi letterari d’ogni epoca. Templare e romeo dell’ideale, indeciso fra realtà e visione, dissennatezza e senno, lacrime e umore; lirica marionetta che rimette ogni volta a posto i suoi pezzi bastonati e malconci dopo l’ennesima testarda collisione coi giganti a vento e le nuvole… Questo e mille altre cose ancora: metafora di libertà, battista e cristo di hispanidad, ossuto spettatore-attore di un universale teatrino di Maese Pedro; l’unico, insomma, per cui si possa dire, contro Goya, che il sonno della ragione genera angeli.
Sancio Panza
Santificazione del servo di commedia di spalla buffa ad accolito e apostolo del suo signore, Sancio fa più che accompagnarne col suo controcanto in prosa le vertiginose sublimità; bensì lui stesso, com’è stato detto, si «chisciottizza» tanto quanto l’altro si «sancifica», generando in sua complice compagnia quell’esemplare ircocervo errante che solo scioglierà la morte.
Don Abbondio
Personaggio di tragico umore, povera animula prigioniera nella cruna di un secolo di ferro. O còmpiti, passeggiando, il breviario; o conti berlinghe; o legga di misteriosi Carneadi; o bruci, «stoppino umido», alla vampa d’una grande torcia; sempre Don Abbondio offre l’immagine di una quiete in bilico, d’un idillio timido dei nervi su cui sta per schioccare l’imprevisto colpo di frusta della paura: paziente e martire d’un vangelo del mondo che l’autore, mentre lo rifiuta, accompagna con un sorriso serio. Come chi (c’è bisogno di aggiungerlo?), in un angolo buio di sé, almeno una volta, se n’è sentito tentare.
L’innominato
Montuoso e solitario, come il suo castello, il brigante innominato. Senza un amico né una donna. Con mani e sogni sporchi di sangue ma, nel cuore, un’«uggia» misteriosa, e insieme un barlume di bene e una nostalgia, come «la rimembranza della luce in un vecchione accecato da bambino» (detto per altri, ma vale per lui). Da qui la sua interminabile notte di passione, la sua doglia impervia e dolorosa, finché, in un’alba di cenere, l’uomo nuovo venga alla luce. Splendida rivitalizzazione d’un usato stereotipo gotico, nel segno di una coscienza religiosa che fra fede e ragione non esita a scegliere entrambe.
D’Artagnan
La tracotanza allegra di D’Artagnan, la sua povertà, i suoi pennacchi… Quante adolescenze ci si sono impennacchiate allo specchio! Convinte che, il torto e il diritto, basti un colpo di spada a spartirli; e che la via sia una festa e giostra di creste, sproni e chicchirichì. E tuttavia il guascone non è un innocente: il suo liscio coraggio, la sua bravura professionale di ammazzasette, la lealtà melodrammatica ai riti dell’onore e dell’amicizia, non sono senza qualche spirito e controcanto ironico, tragico addirittura: come quando dalla sponda del fiume vede levarsi sotto la luna la mannaia del carnefice sulla gola pallida di Milady.
Moby Dick
«Tutti gli oggetti visibili, amico, sono solo maschere di cartone» ci avvisa Achab. E noi chiediamo: chi è Achab, chi è Moby Dick? Un demone e un dio, certo, ma come si scambiano le parti? O non sono forse demoni entrambi, entrambi dii? A meno che non recitino solo l’avventurosa fiaba d’una balena e d’un pescatore di Nantucket, un vendicativo scorridore d’oceani, sul cui capo turbinano le bibliche ossessioni di chi ha vegliato troppo sul Libro di Giona. Non importa: a noi lettori di quindici o sessant’anni basta solo il picchio sul cassero di quella gamba d’avorio in osso di capodoglio; e il subitaneo sparire e ricomparire, fra due spume bianche, d’una groppa bianca, irta di ramponi spezzati, dannata a non poterne morire.
Alice
Alice è volta a volta gigantessa e nana, nell’al di là, pozzo o specchio, dove un sonno-sesamo l’ha precipitata. Le presenze adorabili e inverosimili che le tocca riconoscere, come si sfogliano le immagini di un bestiario a colori o le reliquie d’un incantesimo, non servono che a far da platea al suo duello pacifico con l’insensatezza speculare del vocabolario e del mondo. Sicché è senza paura che la vediamo, sotto l’occhio fotografico del reverendo, incamminarsi a prendere in una radura il tè del cappellaio matto.
Ulisse-Bloom
Il 16 giugno 1904 Ulisse-Bloom esce di casa per affrontare, come ogni giorno, i lestrìgoni e le nausiche della sua vita. È un ebreo, un segnato: che s’è convertito, ed è dunque segnato due volte. Aveva un figlio, e l’ha perduto; ha una moglie, ma ne è tradito. Eppure non è un uomo infelice. Ma, spontaneo o ipocrita, cavalleresco o sordido, porta a spasso per una Dublino ch’è la stessa città dell’universo, con purgatori, inferni e paradisi sensa numero, il suo tondo famelico occhio, i suoi sensi in allarme, la sua coscienza brulicante e inesausta, la forza cordiale di cangiare la sua meschina giornata in una leggenda tragicomicoeroica. Come vorrebbe, e non sa, ciascuno di noi.
Sul Commissario Maigret] Un poliziotto che ha famiglia, dopo tanti implacabili celibi. Con la sua pipa, i grandi fazzoletti, le scarpe campagnuole, da veterinario o curato, con cui batte il pavé color ferro di una Parigi di piogge e soli, da un bistrò a una portineria, per scale che stillano confessioni da tribunale, fra mura che nascondono grida e grovigli di vipere quiete. Senza abboccare mai alle esche inique dell’immaginazione, alle lusinghe a volte fallibili della ragione: ma lasciandosi impregnare naso e cappotto dagli odori decisivi del delitto. E allora, con tristezza, con dura pietà, lo colpisce.
Gesualdo Bufalino, da “Dizionario dei personaggi di romanzo: da Don Chisciotte all’Innominabile”, 1982
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